Venerdì 19 Aprile 2024

Il (cattivo) precedente del Titolo V

Pierfrancesco

De Robertis

Il pasticcio del Servizio Bilancio del Senato che due giorni fa ha erroneamente pubblicato online (ma si può davvero credere all’errore involontario?) uno studio che mette in discussione la compatibilità finanziaria dell’autonomia ha sollevato un dubbio di fondo che finora era rimasto sottotraccia: la legge Calderoli scasserà i conti pubblici? Sarà possibile garantire eguali servizi a tutti i cittadini e nello stesso tempo permettere ad alcune Regioni di trattenere parte delle tasse raccolte?

La Lega ovviamente giura che sì, il duplice obiettivo è a portata di mano, la sinistra si oppone con tutte le forze (forse scordando che la legge Calderoli altro non è che una attuazione della riforma del Titolo V approvata proprio dalla sinistra a inizi anni Duemila). Fratelli d’Italia è freddina (uno dei principali consiglieri economici di Giorgia Meloni, Renato Loiero, è stato tra i primi a mettere un ’mi piace’ al post del Senato che spiattellava il report critico...).

La questione è complessa, e i tecnicismi per i quali passa poi la sostanza sono fondamentali. L’iter verso l’approvazione definitiva, se mai ci sarà, appare decisivo. Al momento è possibile rifarsi solo al precedente più vicino, quello dell’attuazione della riforma del Titolo V, e non è un precedente felice per i conti pubblici. Allora il passaggio di molte funzioni (tra tutte la sanità e i trasporti locali) finì per gravare sulla fiscalità generale, e i conti dello Stato subirono un rapido peggioramento, che ancora scontiamo. Stavolta rischiamo di fare lo stesso errore, e anche solo la fondamentale stima dei Lep (i livelli essenziali di prestazioni) appare complicatissima, se si vuole farli a spesa pubblica invariata. La stessa determinazione dei "costi standard" è molto difficile. Il rischio è che non si riesca a uscire dalla tagliola dell’aborrita "spesa storica". Una curiosa eterogenersi dei fini al contrario, in salsa federalista.