Il caso Pos? Passo avanti verso la Ue

Raffaele

Marmo

La retromarcia del governo sul Pos, più che un dietrofront, è una nuova tappa di quel processo di emancipazione di Giorgia Meloni dai vecchi stereotipi "sovranisti" e anti-Bruxelles. E, del resto, non è un caso che arriva nelle stesse ore nelle quali l’Italia incassa il via libera al price cap sul gas. Perché l’Europa c’è per i vincoli e per le opportunità e non è dato accettarla secondo le convenienze del bisogno.

E così appare del tutto evidente che questo "clamoroso" cambio di rotta e di direzione sul Pos è il segno di un approccio frutto di quel realismo politico che sta segnando l’azione della premier fin da prima dell’approdo a Palazzo Chigi.

La legge di Bilancio, d’altra parte, fin da subito si è appalesata per quella che è nella sostanza: un provvedimento di interventi e misure che, come ha avuto modo di notare riservatamente l’ex Ministro dell’Economia, Daniele Franco, "è analogo a quello che avremmo fatto anche noi". E il "noi" sta per il diretto dichiarante, ma, soprattutto, per Mario Draghi.

Dunque, la decisione di "ascoltare" le raccomandazioni dell’Europa sul Pos e la conseguente scelta di mantenere l’obbligo dello strumento, anche a costo di scontentare una parte non secondaria dell’elettorato di centro-destra, sono atti di una complessiva strategia che viene da più lontano. Basti pensare al rapporto Meloni-Draghi dell’ultimo anno e, ugualmente, alla nomina di Giancarlo Giorgetti a Ministro dell’Economia, il più draghiano dei leghisti e non solo. Ma, nello stesso quadro, va collocata la svolta di Bruxelles sul gas, anch’essa perseguita dall’attuale governo in stretta continuità con quello precedente. Tant’è che, per paradosso, è Giuseppe Conte a dare, sia pure per obiettivi opposti, la migliore pagella di affidabilità e di promozione in Europa per il duo italiano della politica economica: "La troika ha il volto di Meloni e Giorgetti. E il fatto che Dombrovskis lodi la prudenza di questa manovra ci consente di dire che tutto si tiene".