Mercoledì 24 Aprile 2024

Il "caso Giffoni", l'odissea kafkiana di un servitore dello Stato

Una via crucis giudiziaria e umana lunga otto anni per Michael Luis Giffoni, ambasciatore d'Italia in Kosovo. Completamente assolto da ogni accusa, il Ministero degli Esteri si rifiuta di reintegrarlo.

Michael Luis Giffoni

Michael Luis Giffoni

Incredibile ma vero: può accadere ed è accaduto che nel nostro Paese si possa trasformare un’odissea giudiziaria, lunga 8 anni, in un dramma umano ed istituzionale. Un viaggio incredibile, tra giustizia, burocrazia, miopia comportamentale, in nome e per conto di una disciplina che pone al centro l’abuso di potere e non certo la logica intelligenza di alti funzionari dello Stato. Quel che accade da troppo tempo a danno di un cittadino italiano, servitore dello Stato, onesto e rispettoso delle istituzioni, mortificato, maltrattato e umiliato deve far riflettere la società civile sui mali endemici del nostro Paese. Una storia complicata che fa assaporare il gusto amaro della sensazione di trovarsi all’improvviso in un mondo in cui i consueti modi di pensare e di comportarsi non funzionano più. Un giro infernale paradossale, allucinante, assurdo. Kafkiano.

Il protagonista è Michael Luis Giffoni che il 7 febbraio 2014 fu travolto, per sempre, dall’onda d’urto di uno scandalo che si era verificato all’ambasciata italiana del Kosovo, dove Giffoni, primo Ambasciatore d’Italia dal 2008 al 2013, aveva prestato servizio.  Un traffico di visti irregolari durante il suo mandato. Quel 7 aprile 2014, Giffoni era appena rientrato da una missione diplomatica in Africa quando fu convocato dall’allora direttore del personale del MAE, Elisabetta Belloni, oggi a capo dei servizi segreti, che gli comunicò l’esito di un consiglio straordinario sulla vicenda visti, gli propinò una lettera che gli fece firmare, comunicandogli il decreto di sospensione cautelare, con effetto immediato.

Senza ascoltare, senza neppure dargli il tempo di spiegare, se mai ci fossero state spiegazioni sulla questione. Fu quello l’inizio del calvario di Giffoni. La sospensione fu firmata da Emma Bonino, all’epoca ministro degli esteri, la destituzione da Federica Mogherini, che le subentrò. Vien da chiedersi perché sia kafkiana, questa vicenda.

Molto semplice la risposta, perché a conclusione del processo di primo grado con la sentenza pronunciata il 27 settembre 2021 il Tribunale Ordinario di Roma ha assolto con formula piena Michael Luis Giffoni “dal delitto ascritto al capo 1), perché il fatto non sussiste e al capo 2), perché il fatto non costituisce reato”. Si badi bene che nel processo il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) si era costituito parte civile.

Il 23 marzo 2022 Giffoni quindi scrive una lettera al Direttore per le Risorse Umane e l’Innovazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) chiedendo all’Amministrazione di voler prendere concretamente atto del pronunciamento giudiziario ai fini di una possibile reintegrazione in servizio o quantomeno di una revisione del procedimento disciplinare emesso otto anni prima. Interessante osservare che la sentenza emessa dal Tribunale di Roma come già emerso dalle indagini in Kosovo e dalle valutazioni inizialmente formulate dalla stessa Procura della Repubblica di Roma, smentisce, in punto di fatto e di diritto, ogni addebito formulato a carico di Giffoni nell’ambito del giudizio disciplinare, essendo stato accertata e acclarata, al contrario di quanto affermato nella contestazione disciplinare, l’assenza di ogni intervento, diretto, volontario e doloso alla base del traffico di visti irregolari dal Kosovo, nonché la mancanza di ogni lesione o danno agli interessi dello Stato.

Insomma la decisione in sede penale evidenzia come il Ministero degli Esteri abbia sistematicamente operato in tutta la vicenda disciplinare, nel contenzioso amministrativo e perfino nel corso del processo penale, sulla base di un’arbitraria postulazione o errata interpretazione, di fatti irrevocabilmente smentiti dalla sentenza penale. A questo punto, al tutto si aggiunge anche un altro tassello, incredibile.

Premesso che quel che conta per Giffoni è solo e soltanto essere reintegrato in servizio e tornare alla sua vita, quella per la quale aveva speso i migliori anni di gioventù nello studio con sacrifici enormi della sua famiglia, di origini contadine, si avviano colloqui tra i legali di Giffoni ed esponenti del Ministero degli Esteri per comprendere come favorire il reintegro in servizio.

Giffoni, uomo delle istituzioni, riconoscendo le difficoltà e le  conseguenze, soprattutto di natura contabile ed erariale, di una sua legittima richiesta di danni e risarcimenti economici per l’accaduto,  nell’istanza di richiesta di reintegro inserisce la seguente frase: “la ricostituzione del rapporti di servizio…che - ove fosse ancora necessario ribadirlo - ovviamente comporterà, da parte del sottoscritto, la rinuncia a ogni eventuale pretesa risarcitoria nei confronti del Ministero e dei funzionari coinvolti nelle procedure connesse alla destituzione, nonché di ricostruzione della carriera e fatti salvi, nei limiti della loro irrinunciabilità, i soli diritti di natura contributiva previsti dall’ordinamento del lavoro, essendo mia ferma intenzione dedicare, per il futuro, ogni residua energia al servizio dell’Amministrazione e dello Stato, e non contro di essi”. Incredibile, ma vero.

A questa comunicazione di Giffoni, dopo 3 mesi di silenzio e dopo una diffida ad adempiere nei termini previsti dalla legge, il 28 giugno del 2022 con una Nota di scarne righe, firmata dal Direttore Generale per le Risorse e l’Innovazione del MAECI, si comunica un “preavviso di rigetto” nella quale si comunicato che l’istanza “non può essere accolta” in quanto né “nella sentenza del Tribunale Penale di Roma n. 10809/21, né comunque in altri fatti, atti o documenti successivi all’irrogazione della sanzione disciplinare emergerebbero nuove prove” tali da far ritenere che, in relazione ai fatti per i quali ha avuto corso il procedimento instaurato a carico di Giffoni possa essere dichiarato il proscioglimento dello stesso dagli addebiti disciplinari contestati.

Quindi nessun passo indietro sulla destituzione. Difficile commentare questa decisione. Incredibile poi come dinanzi alla dichiarata volontà, tenuto conto anche delle ben note precarie condizioni fisiche e materiali di Giffoni, travolto da questa odissea disciplinare e giudiziaria negli ultimi 8 anni, di risolvere la questione in via conciliativa, senza ulteriori liti e contenziosi, il Direttore Generale per le Risorse e l’Innovazione del MAECI, attenzione, non l’organo disciplinare a cui spetterebbero  le conclusioni dell’esame di merito in piena autonomia, anticipi il no al reintegro di Giffoni che poi formalmente sarà comunicato, con provvedimento definitivo di rigetto, nel decreto ministeriale 5111/570/bis del 3 agosto 2022.

Quanta amarezza nel dover constatare che dopo 8 anni e mezzo di odissea disciplinare, amministrativa e penale e con una sentenza penale passata in giudicato, per Giffoni rimane solo l’arroganza di un abuso di potere. Cosa rimane da fare se non intraprendere un nuovo, lungo e complesso, percorso giudiziario - amministrativo presentando un nuovo ricorso al TAR del Lazio, che per ben due volte già, nel 2015 e nel 2016, aveva sentenziato l’annullamento di due decreti di destituzione ordinando al MAECI la riammissione in servizio di Giffoni. Incredibile ma vero. E’ questa la dolorosa e penosa “storia infinita” di un onesto servitore dello Stato.