Il cardinale Zuppi contro i bonus: "Serve lavoro"

L’affondo dell’arcivescovo di Bologna: meno sussidi e più posti, ma non precari. "L’assistenzialismo può diventare patologico"

Il cardinale Matteo Zuppi, 65 anni, in visita alla Lamborghini nello scorso giugno

Il cardinale Matteo Zuppi, 65 anni, in visita alla Lamborghini nello scorso giugno

Meno sussidi e più occupazione. È un affondo duro quello del cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi che, intervenuto in un convegno su come sarà il lavoro superata la pandemia, ha spiegato come futuro e assistenzialismo stiano su due direzioni diverse, quasi opposte. "I bonus hanno avuto un ruolo importantissimo – sono le parole dell’arcivescovo di Bologna – ma sono sempre un rimedio e mai la soluzione. Quando diventano la soluzione dobbiamo preoccuparci perché c’è sempre il rischio che si entri nella logica dell’attesa e dell’approfittare e, quindi, in una fase patologica. Ogni giorno sentiamo dire che la pandemia lascerà tante macerie e questo non è bello, ma sarà anche una opportunità perché dovremo ricostruire e quindi ci sarà tanta occupazione. Non possiamo, però, ricostruire senza cambiare alcuni stili di vita, e tra questi c’è anche quello dell’aspettare un bonus".

Un pensiero che trova un senso pratico in quello che la diocesi di Bologna sta facendo da anni. Zuppi ha cercato di sostituire la filosofia del sacco con cui le caritas parrocchiali aiutano gli indigenti con "Insieme per Lavoro", un progetto che, in collaborazione con le altre istituzioni, cerca di reinserire nel circuito del lavoro chi ha perso la propria occupazione attraverso la formazione e la riqualificazione professionale.

"Il bonus rischia di essere un assistenzialismo di Stato – prosegue il cardinale –, ma papa Francesco nella ’Fratelli tutti’ ci dice che aiutare i poveri con il denaro deve essere un rimedio provvisorio e che il problema deve essere risolto con il lavoro, perché non c’è peggiore povertà di chi non ha una occupazione. E il lavoro deve essere vero e non quel precariato che viene giustificato come mobilità del lavoro e che, invece, è un altro dramma perché produce solo incertezza nel futuro".

La Chiesa bolognese è anche proprietaria di una multinazionale, la Faac, la cui gestione è affidata a un trust totalmente indipendente dall’arcivescovo che, però, ne utilizza i dividendi per finanziare iniziative contro la povertà. "Spesso abbiamo confuso gli speculatori con gli imprenditori – conclude il porporato –, ma l’imprenditore vero è colui che non si accontenta dell’esistente e mette a profitto i talenti che ha ricevuto per dare lavoro agli altri. Una ricchezza senza etica si ritorce contro chi pensa solo a coltivarla, mentre il nuovo imprenditore deve essere un soggetto capace di dare risposte riparando quell’ascensore sociale che in questi ha viaggiato solo verso il basso non riuscendo a risalire verso l’alto".

Tra le iniziative sostenute dalla diocesi guidata da Zuppi vi è anche un fondo destinato alle microaziende bolognesi che faranno lo sforzo di non licenziare i propri dipendenti nonostante i mancati guadagni.