Il cardinale Zuppi: l’Europa faccia di più. "Aiutiamo anche chi lavora in nero"

L'arcivescovo di Bologna lancia l’allarme: sempre più insospettabili alle mense della Caritas. "Giusto prorogare la cassa integrazione. Ma serve un piano di ricostruzione come nel Dopoguerra".

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"Quante fregnacce sento dire in giro, anche su di me. Si dice pure che io vada alle Feste dell’Unità. La verità è che non ci vado perché non mi ha invitato nessuno". Ride sornione in questa intervista il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna per volontà di papa Francesco. E continuerà a farlo per tutto il corso della conversazione il vecchio don Matteo, anima della Comunità di Sant’Egidio e di tante periferie romane prima di essere ’lanciato’ da Bergoglio nella città delle Due Torri. Ma la risatina romanesca tra una battuta e l’altra non deve ingannare: i temi sono tremendamente seri e lui lo sa.

Eminenza, siamo ancora nel mezzo della tempesta Covid. L’Italia è sospesa tra conta dei morti e voglia di ripartenza. Che cosa avete da dire voi uomini di Chiesa?

"La vita senza prove non esiste, il benessere può far pensare che le prove non ci siano, invece nelle prove capisci di più chi sei e questo, del resto, è il Vangelo. Lo abbiamo toccato con mano in questi mesi severi".

Andiamo sul concreto. Nella diocesi di Bologna è aumentata la povertà?

"Senza dubbio. Povertà ce n’era già tanta con la crisi economica. Ora Caritas, mense registrano un aumento ulteriore. A Bologna abbiamo ripreso le ‘sportine’, il classico pacco alimentare che però non è un pacco figurato (ride). Era una cosa che le parrocchie non facevano più anche perché era sentita come pure carità, assistenzialismo da quattro soldi. Semmai si faceva l’emporio. Adesso invece c’è una domanda di generi di prima necessità. Che cosa è successo? In questa situazione a pagare non sono solo gli ultimi, ma i penultimi, i fragili, quelli che si troveranno in forti difficoltà quando finirà la grossa anestesia della cassa integrazione".

Difficile immaginare una vita di sussidi.

"È un bene che venga ulteriormente prorogata, altrimenti settembre e ottobre sarebbero stati un momento di grande prova per un esercito di insospettabili. Su questo dobbiamo avere un senso di grande vicinanza e solidarietà. Questa crisi dobbiamo volgerla come opportunità, non sprecare le risorse per far funzionare le cose. Parlo dell’Italia e mi rivolgo soprattutto all’Europa dove le cose non hanno funzionato. Serve una ricostruzione come nel Dopoguerra".

Eminenza lo hanno detto in tanti. Più facili a dirsi che a farsi.

"È vero e ci trastulliamo troppo nella formula magica. Le misure perfette non esistono. Dico una cosa: noi abbiamo a Bologna la grazia di avere un’azienda (la FAAC, grossa produttrice di cancelli, ndr). Abbiamo reinvestitito l’utile creando nuovo lavoro. Non mi nascondo comunque dietro a un dito. C’è anche tutto un problema di persone che vivevano di lavoretti in nero, cose fatte per arrotondare e poi magari invece ci sbarcavano il lunario. Anche a questi dobbiamo pensare".

E allora come si fa? Si danno opportunità a chi non era in regola?

"Non dico questo. Ma pongo un allarme: a Roma si dice, arrivano quelli con la cravatta. Chi sono? I cravattari, gli usurai. Prestano denaro e poi il nodo al collo si stringe sempre di più".

Anche la vita interna della Chiesa è stata sconvolta. Riuscite a trovare ancora un senso nella missione dopo essere stati sballottati di colpo nel mondo virtuale?

"Penso che di tutta questa viralizzazione tra messe online, rosari su Facebook, catene Instagram, qualcosa dobbiamo tenere. La Chiesa non è un gruppo WhatsApp, è Incarnazione. Ma proprio a Bologna lo abbiamo riscoperto. Ad esempio, abbiamo una grossa tradizione di campanari e tanti mi hanno scritto dicendo che la ripresa vigorosa delle campane li ha aiutati. Veramente mi sono preso tante parolacce pure da chi si è arrabbiato molto quando a un certo punto abbiamo smesso con la diretta della messa perché c’era già quella del Papa a Santa Marta alle 7. Mi ha scritto uno dalla terapia intensiva indiavolato: ma come! Io ormai mi svegliavo la mattina con la funzione e mi dava forza per arrivare al fondo della giornata".

E quindi i preti devono stare tra la gente o su Internet?

"Qui io ho parroci con 3,4 parrocchie ormai. Credo che il record sia uno di montagna che ne ha 8. Mi sbottano e mi dicono: ma siamo tutto il giorno in macchina, che altro dobbiamo fare? Il problema non è fare una cosa in più. La pandemia ci ha dato una esperienza così profonda che abbiamo capito i problemi della vita quotidiana, che non parlavamo di cose astratte. Ecco perché rido quando sento dire che il Papa è politico, che è di destra o di sinistra, nella Chiesa esiste solo la categoria dello Spirito".

Eminenza di lei si parla già come di un sacerdote leggendario. Alcuni la vedono come un alter ego dello stesso Bergoglio. Ci tolga una curiosità: è lei che ha trattato con l’Eta, l’organizzazione terroristica dei separatisti baschi, per la tregua storica del 2017?

"Figuriamoci, io non ho fatto nulla, se non il testimone. Il punto evangelico però era fortissimo: la consegna delle armi. Quel gesto è tutto. Deporre l’arma perché se c’è un’arma qualcuno la può usare anche contro di te. Chi ha preso un’arma in mano ha sbagliato. Che poi… Pure consegnare le armi al riparo dai voi giornalisti mica era facile… Lì ti possono arrestare se giri con un fucile".