Il campo largo si è ristretto Anzi: non esiste

David

Allegranti

Ma quale campo largo, ha ragione il professor Romano Prodi: con la scissione di Luigi Di Maio, novello aspirante centrista col botto, "c’è un campo senza recinti che va ridisegnato". Il ministro degli Esteri, asse portante di quel populismo che, istituzionalizzandosi, ha imparato a usare le posate a tavola, si è portato via oltre sessanta parlamentari. Il fatto che i sondaggi lo diano poco sopra il due per cento non è molto interessante, giacché quella del "campo largo" era, ed è, una teoria di Palazzo più che di popolo. Ed è nel Palazzo che Di Maio è forte, adesso, con tutta quella prosopopea da riserva della Repubblica.

Sicché si mettano l’anima in pace quelli del Pd, che negli anni hanno dimostrato subalternità culturale ai Cinque stelle, arrivando a votare persino per il taglio del numero di deputati e senatori, dopo aver detto all’inizio no in Parlamento. La "casa comune", per usare un lessico franceschiniano, è stata abbattuta dai draghiani della terz’ultima ora, tra i quali si annoverano i Di Maio, i Manlio Di Stefano e le Laura Castelli, insomma l’apoteosi del liberal-riformismo (si fa per dire). Con sommo dispiacere di Goffredo Bettini, che ormai può dare consigli soltanto a Giuseppe Conte, il passante della Storia in pochette.

Il campo largo è insomma come il noto cucchiaio di Matrix: non esiste. I sommersi – vale a dire i contiani – rappresentano un fardello per il Pd di Enrico Letta. Passano le giornate a spiegare a Mario Draghi perché li ha offesi e perché è necessario un chiarimento. Oggi ci sarà, o meglio ci dovrebbe essere, il faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e Conte, armato dei cahiers de doléances a Cinque stelle. Un’altra pietra tombale sul campo largo, pardon, sul campo santo.