Il cadavere nella discarica Caso riaperto dopo 30 anni

Torino, Franca Demichela fu uccisa nel 1991. Indagati il marito e quattro nomadi. Ora gli inquirenti analizzeranno reperti dell’epoca grazie alle nuove tecnologie

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di Viviana Ponchia

Era pallida, indossava un abito di chiffon vermiglio e una sola scarpa con il tacco a spillo. Una spilla di brillanti fermava il turbante che raccoglieva i capelli lunghissimi. Diceva di essere magica e immortale, la reincarnazione di Nefertiti. Si atteggiava a regina della notte e il buio ha finito per inghiottirla. Il cadavere di Franca Demichela – 48 anni, rappresentante di moda e figlia di un importante dirigente Fiat – fu trovato da un clochard una domenica pomeriggio di fine estate in una discarica sulla strada che porta a Moncalieri, buttato come un sacco di rifiuti sulle rive del torrente Chisone sotto il ponte della tangenziale. Era il 15 settembre 1991. Morta per asfissia polmonare dovuta a strangolamento, dirà il medico legale. Mentre toccherà alla commessa di una boutique del centro procedere all’identificazione grazie a una foto su un giornale: "È lei, riconosco il vestito".

Quel vestito a balze. Sfarzoso, cromaticamente quasi oltraggioso. Per i torinesi diventò subito "La signora in rosso". Un omicidio mai risolto su cui era calato il silenzio. Il perfetto cold case finché un giorno la scienza propone di rifare tutto da capo. Dopo 30 anni la procura ritenta la soluzione del giallo indagando sui reperti di allora, profili genetici e tracce di Dna, oggi analizzabili con tecniche investigative nuove. Gli indagati sono gli stessi: l’ex marito Franco Capra, oggi ottantenne, e quattro nomadi (uno è però irreperibile) visti con la donna prima del delitto, tutti già finiti sotto inchiesta e poi scagionati con il passare del tempo (la new entry si è già resa disponibile a qualsiasi esame). Il marito, certo, mite contabile nell’azienda di cui il suocero gestiva i piani superiori. Visti i rapporti infernali fra i due era inevitabile partire da lì. Franco Capra fu arrestato per 18 giorni e poi liberato con tante scuse. Aveva detto di avere sopportato di tutto per 14 anni, ma arrivare ad ammazzarla no. Quella sera era andato a dormire dai genitori fuori città, l’alibi reggeva. E poi non era il tipo. Le cronache dell’epoca descrivono così sua moglie: "Non aveva paura di attraversare Torino di notte da sola, sedurre sconosciuti incontrati per caso e partecipare alle feste nei campi nomadi". Lui aveva scelto di essere ostaggio di quella donna con il cognome altisonante e il portafogli pieno, l’eccentrica che amava alimentare chiacchiere nella sua personale lotta al perbenismo. Bazzicava nei migliori e nei peggiori bar di Torino facendo tintinnare i braccialetti preziosi, andava a fare shopping con accompagnatori slavi, era spesso in compagnia di prostitute.

Un via vai continuo fino all’ultimo sabato sera. Una volante disse di averla vista in auto con tre slavi alle 23.30. Il cameriere del bar Mokita in piazza San Carlo confermò la versione: dopo l’ultimo bicchiere Franca Demichela salì sua 126 perché aveva un altro appuntamento. Una vicina riferì aria di baruffa sulla porta di casa in piena notte. Lei gridava "Bastardo ti faccio vedere io". Una voce maschile rispondeva "Ma io ti faccio interdire". Giorni dopo trovarono sacchi di gioielli sull’auto del marito: disse di averli nascosti per evitare che li vendesse e spendesse tutto, per tutelare la famiglia. E venne creduto. La "signora in rosso" fu uccisa tra l’una e le due, strangolata forse dalla collana di perle che portava sempre. Trent’anni dopo si ricomincia da capo. Un vestito, un turbante, una scarpa spaiata.