Giovedì 18 Aprile 2024

Il cacciatore di nazisti "Sessant’anni di ritardi Ma l’orrore non si cancella"

Il magistrato De Paolis scoprì i fascicoli ignorati per decenni sulle stragi del Terzo Reich "I tedeschi che hanno ucciso gli italiani sapevano benissimo quello che stavano facendo"

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di Stefano Brogioni

PIETRASANTA (Lucca)

L’appuntamento è dopo pranzo a Pietrasanta, perché al mattino Marco De Paolis, il magistrato che dai fascicoli rimasti per anni allucchettati nell’armadio della vergogna ha tirato fuori 17 processi ai nazisti e decine di ergastoli ai responsabili di efferati crimini di guerra, era invitato a scuola. "All’istituto comprensivo di Stazzema, dove ancora oggi è vivo il ricordo della strage di Sant’Anna – precisa il procuratore generale militare presso la corte d’appello di Roma –. Ho trovato ragazzi attenti, interessati. Merito dei loro insegnanti".

Non è sempre così?

"Il processo ai responsabili dei caduti di Cefalonia si svolse in un’aula deserta. Eppure, davanti al tribunale militare, c’è uno dei licei più grandi e famosi di Roma. Mai a nessuno, uno studente dell’ultimo anno o un docente, è venuta la voglia di sentire la storia che studiano raccontata dai protagonisti".

Che cosa fu la Shoah?

"Fu l’apice di questo abisso. Ma cio che è successo nei massacri dei civili e dei soldati italiani è collegato. L’eliminazione nei campi di sterminio è stata teorizzata e concepita, ma lo stesso disvalore sta anche nelle stragi naziste. A Cefalonia, ad esempio: i tedeschi che hanno ucciso gli italiani sapevano benissimo di non dover toccare dei prigionieri di guerra. Ma per lo stesso principio di disumanizzazione dei lager, quelli non erano militari, ma traditori. Dunque da eliminare"

A La Spezia, prima che venisse smantellata la procura militare, istruì gran parte dei quei processi che erano rimasti chiusi nel tristemente famoso armadio girato con le ante verso il muro.

"Fu quasi una corsa surreale, la nostra. Facevamo le cose in ritardo di sessant’anni, volevamo far veloce perché gli imputati non morissero. Ma neanche che le parti civili si spegnessero prima dell’epilogo".

Perché c’è stato questo insabbiamento?

"Sicuramente, almeno all’inizio, una ragione di Stato storica suggerì di nascondere quei fascicoli. Ma anche quando, fino alla fine degli anni ’90, alcuni giornalisti con le loro inchieste scovarono i criminali nazisti, venne detto che non c’era più nulla da fare perché i responsabili erano morti. Eppure tra il 2003 e il 2013 abbiamo fatto i processi, ottenendo anche le condanne. Schiffmann, il tenente delle Ss imputato per gli 11 morti di San Cesario sul Panaro, morì il giorno prima della sentenza. Oggi, nel 2023, possiamo dire che nessuno è più in vita. Ma non allora".

Glielo chiedo di nuovo: perché?

"Probabilmente era più comodo occuparsi dell’attualità, era un doppio lavoro, che a me ha tolto cinque anni di esistenza ma me ne ha donati molti di più in termini di soddisfazioni morali come quella vissuta con i ragazzi a Stazzema".