Il brigadiere e i disagi psichici L’ira contro il comandante "Non mi voleva, l’ho ucciso"

Como, era in ferie forzate nonostante l’ok "incondizionato" della commissione medica. Ha freddato il suo superiore con tre proiettili. Sulla vicenda indaga la Procura militare

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di Paola Pioppi

ASSO (Como)

Davanti ai magistrati che lo hanno interrogato per tutto il pomeriggio di ieri, il brigadiere Antonio Milia è arrivato stanco, confuso, provato. Con addosso il peso insostenibile di mesi di difficoltà emotiva e psicologica, andati fuori controllo giovedì pomeriggio alle 17. Quando ha incrociato il suo comandante di stazione nel corridoio, ha estratto la Beretta 92 calibro 9 parabellum che gli era stata restituita qualche giorno prima e ha esploso tre colpi. Il primo ha fatto stramazzare Doriano Furceri, gli altri due lo hanno raggiunto quando era già a terra. Nemmeno lui ha saputo spiegare con chiarezza cosa sia accaduto nella sua testa, come sia maturato quel senso di persecuzione con cui conviveva da mesi, e che aveva radicato in lui l’idea di essere in qualche modo perseguitato, maltrattato e non rispettato.

Il primo episodio in cui il suo disagio è esploso risale a fine gennaio, quando aveva sparato un colpo di pistola in casa, nell’alloggio di servizio al primo piano della caserma, verso terra. Un gesto inspiegabile, che aveva portato anche al ritrovamento di alcune lettere in cui minacciava il suicidio. Segnali allarmanti, davanti ai quali il comando compagnia di Como dei carabinieri era immediatamente intervenuto. Gli erano stati tolti la pistola e il tesserino, aveva affrontato dieci giorni di ricovero ospedaliero, e poi la dimissione con l’indicazione di seguire un percorso di cura, che Milia aveva puntualmente svolto. Così, all’ultima visita davanti alla commissione medica dell’ospedale militare, il 18 ottobre, aveva ottenuto un giudizio di piena idoneità a ritornare alla mansioni. Incondizionatamente. Una parola che non poneva alcun limite al suo impiego, alla capacità di affrontare il lavoro, prendersi responsabilità e valutare situazioni anche complesse. Maneggiare un’arma. Quello che faceva da trent’anni.

Ma in realtà non era andata così. Antonio Milia si era trovato a dover smaltire ferie arretrate: una decisione che non poteva essere imposta formalmente, ma di fatto sarebbe stato Furceri a fare in modo che non rientrasse in servizio, nonostante i referti dicessero che ne aveva ogni diritto. Per dieci giorni, ha vissuto in quella caserma senza poter tornare a svolgere il proprio lavoro di brigadiere dei carabinieri. Cosa sia accaduto esattamente giovedì è una zona grigia, che nemmeno Milia ieri ha saputo spiegare. Interrogato dal sostituto procuratore di Como, Michele Pecoraro, e dal procuratore vicario, Luca Sergio, e dal sostituto procuratore, Fabrizio Gaverini, della procura militare di Verona, Milia ha dato risposte confuse, non chiare, inquinate da ricordi mancanti, nonostante la volontà di rispondere a ogni domanda e di rendere piena confessione.

"Dobbiamo capire cosa è successo, e non solo questa notte, perché c’è di più. Una situazione da approfondire nelle sedi opportune, non solo quelle giudiziarie, perché molto delicata" ha commentato il suo avvocato, Roberto Melchiorre, al termine dell’interrogatorio. "È una questione davvero complessa – ha aggiunto – e una tragedia, un dolore per troppe famiglie", lasciando intendere l’urgenza di una perizia psichiatrica. Ma gli aspetti da capire su questo percorso psicologico durato otto mesi e concluso con l’uccisione di un uomo, sono davvero tanti, a partire dal giudizio di non pericolosità sociale che ha portato la commissione medica, solo dieci giorni fa, a reintegrare il brigadiere. Al termine dell’interrogatorio è stato stabilito che la competenza per le indagini è della procura militare, perché il movente del delitto, per come è emerso finora, è legato a ragioni di servizio, e a una percezione persecutoria maturata nell’ambiente di lavoro. Ieri sera Milia è stato trasferito in ospedale per curare la mano morsa dal cane dei Gis, intervenuti a disarmarlo nel drammatico blitz dell’aba di ieri, al termine di un’estenuante notte di trattative, quando anche un uomo dei Gis è rimasto ferito al ginocchio da un proiettile partito dalla pistola del brigadiere. Ospedale dove rimarrà piantonato, con l’accusa di omicidio volontario oltre che di lesioni appunto al carabiniere. "Il mio pensiero – ha detto ieri il comandante generale dei carabinieri, Teo Luzi – va ai familiari del nostro maresciallo ucciso da un suo brigadiere in un momento di follia: è la dimostrazione che per quanti progressi la scienza abbia fatto, la mente umana resta imperscrutabile. Il brigadiere è stato otto mesi in convalescenza sotto controllo psichiatrico e sanitario in ospedale, solo pochi giorni fa ha superato dei test ed è stato ritenuto idoneo al servizio da una commissione medica ospedaliera. Questi tragici accadimenti addolorano profondamente tutta l’Arma, che garantirà la massima trasparenza nell’accertamento dei fatti".