Spaccio, orecchie squarciate, pestaggi e ossa rotte. La sorte dei pusher schiavi

Valcuvia, clan di marocchini spadroneggiano nel traffico di stupefacenti. Punizioni esemplari ai traditori: due gravi episodi negli ultimi giorni. L’allarme dei carabinieri: "Livello di violenza sempre più preoccupante"

Spacciatori italiani si mettono al servizio di capetti africani

Spacciatori italiani si mettono al servizio di capetti africani

Varese, 17 luglio 2022 - Marocchini armati, tutti clandestini. Si intrufolano nelle case dei cacciatori e prendono i fucili, ma dispongono anche di revolver, kalashnikov e machete che non esitano a usare per conquistare piazze di spaccio e scacciare i rivali. Anche per minacciare i loro stessi uomini che sgarrano e ai quali non sono risparmiate punizioni e torture. Destinate anche ai ’galoppini’ italiani, agli ordini degli stranieri. Un’inversione di ruoli che sarebbe stata impensabile fino a 10 anni fa. Comandano loro nei boschi del Varesotto. Comanda chi ha i soldi dello spaccio. Decine di angoli verdi e grotte in mano a quella che sulle pagine di cronaca è ormai nota come Cupola della droga.

Al vertice c’è un capo area, poi un ’luogotenente’ che controlla la propria zona occupata dai pusher. Infine i ’sottomessi’, anche italiani, tossicodipendenti o sbandati che fanno da autisti sia per i capi, sia per i clienti che hanno più disponibilità economica, in cambio di qualche grammo. La domanda di dosi non si arresta mai. E nella geografia dello spaccio a cielo aperto allargata ai territori del Comasco, sono oltre 50 i boschi della droga mappati dalle forze dell’ordine. Una situazione che è andata degenerando con il tempo.

"È così da anni – spiega il capitano Alessandro Volpini, comandante della Compagnia dei carabinieri di Luino, in provincia di Varese –. Notiamo l’incremento della violenza, che alza anche il livello di pericolosità di questa gente". Si riferisce alle torture, almeno due, venute a galla nell’ultimo mese: lo scorso 4 giugno un venticinquenne marocchino è stato legato a un albero e torturato da un gruppo di connazionali. Lo hanno spogliato e frustato per 7 ore, gli hanno spezzato le ossa di un braccio, con un coltello gli hanno squarciato la pelle dietro un orecchio. "Questo – spiega il capitano – per dirgli alla loro maniera di ’ascoltare gli ordini del capo’". I carabinieri di Luino lo avevano raggiunto in ospedale, dopo il soccorso avvenuto a bordo strada, dove il ragazzo era stato abbandonato dai suoi aguzzini.

Orrore nei boschi dello spaccio della Valcuvia, poco lontano dal Lago Maggiore, che un tempo erano solo meta di passeggiate. Il giovane, minacciato con armi da fuoco, è stato anche rapinato. Probabilmente una ’punizione’ maturata nell’ambito dello spaccio e del controllo del territorio. Un’azione diretta a rimarcare la predominanza del potere in capo alla banda di spacciatori, che come si è scoperto in seguito aveva la base in provincia di Pavia e spadroneggia nelle valli varesine. Il marocchino non è stato l’unico a subire le torture: una sorte simile è toccata un paio di settimane dopo a un quarantenne italiano, tra i tossicodipendenti ’schiavi’ dei nordafricani, che trasportava i capi della banda tra le stradine in cui erano stati allestiti i bivacchi temporanei, covi da cui si gestisce l’attività di spaccio. Per la sua fedeltà riceveva qualche dose di stupefacente ma evidentemente la banda non lo riteneva più un elemento affidabile. Anche lui è stato quindi percosso, frustato e torturato, rimanendo poi appeso al ramo di un albero per 3 ore. Un ramo che si è provvidenzialmente spezzato, consentendogli di fuggire.

Per gli episodi sono stati arrestati tre marocchini che dovranno rispondere di tortura, spaccio e rapina. Sono i tre uomini finiti in manette tra venerdì e sabato della settimana scorsa a Parona, in provincia di Pavia, nella Lomellina settentrionale, con l’accusa di tentato omicidio aggravato e tentata estorsione. Sarebbero i responsabili del tentato omicidio ai danni di M.D. commesso il 26 aprile, poi scaricato da un’auto, agonizzante, a Barbianello (Pavia). Ai tre sono poi state contestate anche le ’torture’ in Valcuvia. Non mancano i regolamenti di conti per il controllo del territorio. "Ricordo la sparatoria dello scorso 19 febbraio", continua il capitano Volpini. Colpi d’arma da fuoco nell’area boschiva tra Laveno e Leggiuno, che si estende fino a Sangiano, tra due fazioni di spacciatori. Una decina i coinvolti; a terra erano stati ritrovati dai carabinieri 47 bossoli calibro 12, e miracolosamente non c’erano stati feriti. L’ipotesi? Un regolamento di conti tra per il controllo del giro dello spaccio nel lavenese. "Si spartiscono il territorio. L’azione di contrasto è importante", conclude Volpini.

Le operazioni delle forze dell’ordine non mancano ma evidentemente ci vuole di più, in una provincia che ha 52mila ettari boschivi. Per esempio controllando, anche con l’aiuto delle amministrazioni locali, gli appartamenti d’appoggio dei pusher, di solito di connazionali che offrono supporto. Secondo quanto emerso dalle indagini c’è anche chi si infila in case dismesse o chi trova aiuto da donne che si prostituiscono in cambio di qualche grammo di droga. E chissà se anche questo arcipelago di boschetti avrà la sua seconda vita, come è successo a Rogoredo, a Milano, che fino a qualche anno fa attirava mille persone al giorno da tutta la Lombardia, a caccia di eroina a basso costo. Dopo l’imponente piano di intervento sociale e sanitario, con la regia della Prefettura, l’ex boschetto della droga, è stato restituito alle famiglie. Ma pusher e ’fantasmi’ a caccia di dosi non sono spariti: hanno cambiato zone. E a Rogoredo resta lo zoccolo duro, che si è spostato verso i binari della ferrovia, sotto il viadotto.

(Ha collaborato Lorenzo Crespi)