Il bilancino della giustizia umilia il dolore

Massimo

Donelli

Manca solo un "Ve la siete cercata" per rendere cinicamente impeccabile e fino in fondo disumana la sentenza che attribuisce ai 29 morti nel palazzo 6B in via Campo di Fossa a L’Aquila, la notte del 6 aprile 2009, il 30% di responsabilità per la strage. Uccisi dal crollo di un edificio precario eppure colpevoli. Poco meno del costruttore (40%), addirittura il doppio di Genio Civile (15%) e Prefettura (15%). Ma colpevoli di che cosa? D’aver dormito lì nonostante due scosse del giorno prima e la terza poco dopo mezzanotte. Ecco. Pensavamo che la bilancia della Giustizia indicasse equilibrio, saggezza, capacità di discernere bene e male. Che la spada fosse simbolo di punizione. E la benda sugli occhi certificasse imparzialità. Dopo questa sentenza, la bilancia rimanda al bilancino del farmacista, la benda al sonno della ragione e la spada alla decapitazione del buonsenso. Come si può, infatti, prendersela con i morti, elevandoli, ex post, al rango di Giovanni Mercalli (1850-1914), inventore della celebra scala? E come si fa a calpestare perdita, lutto, dolore con l’arida suddivisione in percentuali di colpa che mettono sullo stesso piano responsabili e vittime? E, infine, con quale leggerezza si punta il dito verso chi, sottoterra da 13 anni, non può difendersi? Un vecchio amico, Cosimo Francioso (1952-2019), legale di Cgil e Fiom, amava ironizzare: "Non vedo l’ora che muoia Silvio Berlusconi per parlar male dei giudici". Evitava di esprimersi, cioè, per non prendersi del berlusconiano. Con lo stesso spirito, affido la chiusa a Gherardo Colombo, 76 anni, magistrato in pensione: "Ripenso alla funzione del giudice, del pubblico ministero; mi chiedo quale e dove sia la giustificazione a invadere la vita degli altri, a chiedere e disporre arresti, sequestri, condanne, quando proporzione e uguaglianza svaniscono, quando non tutti i fatti e non tutte le persone sono trattate allo stesso modo".