Igor, fuga in camion e documenti falsi. Ecco la rete dei complici

Via dall'Italia passando per l'Austria. Caccia agli amici serbi

Igor il russo, il killer di Budrio, catturato in Spagna dalla Guardia Civil

Igor il russo, il killer di Budrio, catturato in Spagna dalla Guardia Civil

Roma, 15 dicembre 2017 - Come ha fatto Igor, il killer di Budrio, a fuggire dalla zona rossa, blindata da centinaia di militari dopo il secondo omicidio? Chi lo ha aiutato? Sono solo alcune delle domande che in questi mesi hanno guidato il lavoro dei carabinieri, coordinati dal pm di Bologna Marco Forte e dal procuratore Giuseppe Amato. Mentre si cercava con i droni e i cani molecolari il killer nelle campagne, in parallelo gli investigatori scandagliavano la rete di amicizie a cui avrebbe potuto fare appello. Circa 500 persone sono state in vario modo controllate, tra appostamenti, pedinamenti, intercettazioni. E i risultati hanno riservato sorprese. Si è scoperto, ad esempio, che Igor non si è mai avvalso, nella sua latitanza, dei contatti e delle ‘amicizie’ usate ai tempi delle rapine nel Ferrarese con la banda di Ivan Pajdek. Anzi, se n’è guardato bene. Ma le sue conoscenze, racimolate fuori e dentro il carcere, erano molte e pure recenti.

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GRAZIE al lavoro di rogatoria con la Serbia (a cui si sono aggiunti anche Austria e Francia), i carabinieri sono riusciti a tracciare contatti con la famiglia, a Subotica. Madre, sorella, zia, tanto per citarne alcune. Nessuno diretto, ma del resto non hanno mai avuto contatti diretti né visite ai tempi della detenzione italiana del serbo. Ma sempre mediati da soggetti che con Igor hanno avuto nei mesi contatti frequenti. Certificati sono anche i contatti con persone che operano nel mondo dei documenti falsi, in Francia. Altri contatti, appunto, in Spagna, tra Madrid, Malaga e Valencia. Una zona che Igor conosceva, aveva già visitato in passato (come testimoniano anche i suoi post su Facebook) e le lettere dal carcere scritte a donne spagnole. In Austria risulterebbero i contatti più recenti, tanto che lo stesso pm Forte e i carabinieri sono stati a Vienna per giorni. Contatti diretti e mediati, insomma, che hanno acceso i riflettori anche sul percorso solitamente fatto dalle badanti ungheresi verso l’Italia, attraverso l’Austria e sulle persone che operano in quel settore. Proprio l’Austria potrebbe essere stata la via di fuga usata da Igor per lasciare l’Italia e poi muoversi in Europa. E qui le ipotesi degli investigatori sono varie. Potrebbe avergli dato un ‘passaggio’ un amico, in auto. Oppure un camionista, magari serbo, in un’ottica di solidarietà tra connazionali. Impossibile al momento stabilirlo, per questo ieri sera sono volati in Spagna alcuni vertici del comando provinciale dei carabinieri di Bologna. Occorre sapere dai colleghi spagnoli di quali e quanti cellulari Igor disponesse al momento dell’arresto. Cellulari intestati a persone a lui note che lo hanno aiutato e gli spostamenti di quelle utenze potrebbero essere decisive per ricostruire i mesi di latitanza. E ancora: quanti armi aveva con sé? Che fine hanno fatto quelle rubate in Italia?

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IN QUESTI mesi carabinieri e procura hanno battuto ogni traccia. Compresa quella cartolina con l’Amerigo Vespucci inviata ai militari da Livorno. «Saluti da Igor», diceva. Vagliata dai Ris, non recava nemmeno un’impronta del serbo. Gli accertamenti eseguiti dopo i due delitti di aprile hanno consentito di arrivare a mettere in collegamento una ventina di colpi che Igor avrebbe commesso tra l’ultima scarcerazione del 2015 e gli omicidi. Furti e rapine, soprattutto di modesto valore se non anche di solo cibo, con un ritorno alle origini: un paio di colpi, messi a segno nel Mantovano, con arco e frecce. Lo stesso metodo usato in Polesine agli esordi, quando nel 2007 finì per la prima volta in cella. «È stato rispettato un piccolo patto d’onore” con i familiari che oggi (ieri, ndr) è giunto a compimento – ha commentato il ministro dell’Interno Marco Minniti –. In qualche modo c’è un filo che collega queste morti, ed è un filo che rende ancora più evidente la ragione per la quale quel patto d’onore sottoscritto da coloro che facevano le indagini andava a tutti i costi rispettato».