"I violentatori? Malati diabolici. Noi li curiamo, ma quanto orrore"

Droga dello stupro, il medico che aiuta a superare la dipendenza: terapia lunga, ricadute frequenti "All’inizio queste persone non provano vergogna. Quando si redimono cambiano anche fisicamente"

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Fa venire i brividi l’immagine della figlia di pochi mesi che gattona in casa accanto alla mamma drogata e violentata dall’agente immobiliare a Milano, mentre il marito non si regge in piedi e vomita. "La recidiva fa parte del nostro lavoro", racconta il prof Massimo Barra, 74 anni, fondatore della clinica per le tossicodipendenze Villa Maraini a Roma, dove sono passati centinaia di tossici della droga dello stupro.

Quando entra nella sua clinica un elemento di questo tipo, come fate a non provare odio?

"Noi per definizione non giudichiamo e non condanniamo. Lavorando in questo ambito di aberrazioni e perversioni ne abbiamo viste tante. A volte mi viene da pensare che c’è di mezzo il diavolo. So che sembra un’ingenuità, ma anche non credere al demonio è un atto di fede".

Gli stupratori seriali possono davvero essere riabilitati o quel demone resterà sempre dentro di loro?

"No, nulla è irreversibile in tema di droga. Spesso sembra che non ci sia niente da fare, ma il passare del tempo è terapeutico: l’uomo si stufa anche dei piaceri più grandi, questo a livello terapeutico è un alleato. A noi operatori, la guarigione lascia impresso solo l’aspetto positivo delle persone, l’orrore con le droghe tentiamo di esorcizzarlo. La soddisfazione per le nostre ’imprese’ equilibra la sofferenza che i tossici portano qui".

Qual è la chiave di volta che spinge la persona verso la strada della disintossicazione?

"Principalmente la psicoterapia, che differenzia tra il capitolo della violenza sessuale e quello della droga. Quando il soggetto si redime cambia anche fisicamente: assume un’altra postura, si relaziona con gli altri in modi nuovi. E dopo pare impossibile che possa aver commesso crimini tanto orrendi".

Quando (e se) si rendono conto di ciò che hanno fatto, come resistono alla tentazione al suicidio?

"Qualcuno non resiste: infatti, non è garantito l’esito positivo del percorso. La terapia, questo lungo cammino scandito da costanti ricadute, serve prima di tutto per sopravvivere. Noi siamo convinti che ci sia sempre un punto di ritorno".

Cosa scatta nella mente di un malato di droga dello stupro che lo fa ricadere nella tentazione?

"Condividere la disperazione serve da consolazione e da stimolo per andare avanti. Il peggior nemico è, invece, la solitudine. Questa malattia è cronica recidivante: ricadere in tentazione è normale perché c’è il ricordo del piacere. Ma si sperimenta anche l’aver toccato il fondo, questo dà la forza di chiedere aiuto. Perciò sostengo che lo Stato abbia tutto l’interesse di curare chiunque, facilitando l’accesso ai centri antri droga e cancellando l’infinita burocrazia che allontana gli utenti e le famiglie".

Queste persone quale giustificazione forniscono, rispetto alle loro azioni, quando sono in cura?

"Dicono: ’mi hanno obbligato, lo fanno tutti, il giro è questo, mi piace’. Senza accorgersene le violenze sono diventate abitudine e non provano vergogna".

Qual è la soddisfazione che prova uno stupratore seriale a violentare una donna incosciente?

"Un piacere malato. In questo senso ne ho viste di tutti i colori. Lo sentono come un gioco, del resto le perversioni sessuali dall’opinione pubblica sono accettate".

Nel profondo, cosa si nasconde dietro a questo orrore?

"Spesso ci sono violenze subite in passato. Poi l’impotenza, la possessività, l’insoddisfazione sessuale, l’assenza totale di rispetto verso gli altri. C’è un grande buco nell’io, il vuoto esistenziale".