I verbali segreti: "Chiudete l’Italia a zone". Ma il governo scelse il lockdown totale

Tolto il segreto su parte dei documenti, il 7 marzo il comitato tecnico scientifico scriveva: "Sufficienti le restrizioni al Nord"

Giuseppe Conte in diretta Facebook

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Il lockdown totale fu decisione squisitamente politica, non suggerita dal Comitato tecnico scientifico, che avrebbe preferito misure più graduate. La lettura dei primi cinque verbali desecretati da Palazzo Chigi e messi a disposizione dei legali della Fondazione Einaudi che ne avevano chiesto la pubblicazione fa capire perché la presidenza del consiglio ha tentato di tenere le carte riservate. E solo davanti alla prospettiva di vedersi dare torto dal Consiglio di Stato ne ha pubblicato i verbali datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020.

FOCUS / Il verbale Cts su Alzano e Nembro

II 28 febbraio il Cts aveva suggerito una strategia differenziata per le regioni del Nord, più severa per Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto e la linea degli esperti era quella di graduare le restrizioni. Illuminante è il verbale numero 21 del 7 marzo nel quale si osserva che mentre nelle zone rosse i dati epidemiologici rilevavano una "lieve flessione nell’incremento dei casi", si assisteva a un "aumento dell’incidenza" dei casi "in aree precedentemente non rientranti nelle zone rosse". Serviva fare di più, e giustamente, ma come strategia il Cts non proponeva però un lockdown totale ma "a zone". Legato all’effettivo rischio. E comunque senza chiusura pressoché generalizzata di negozi e attività produttive. Una logica molto diversa.

"Il comitato – si osserva – propone di rivedere la distinzione tra cosiddette zone rosse (gli 11 comuni del dpcm del 1° marzo) e zone gialle (le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, più le province di Pesaro-Urbino e di Savona) e di definire due livelli di misure di contenimento da applicarsi, uno dei territori nei quali si è osservata a oggi una maggiore diffusione del virus e l’altro sull’intero territorio nazionale".

Il Cts individuò quindi "le zone dove applicare le misure di contenimento della diffusione del virus più rigorose: regione Lombardia e province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia, Modena, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti". L’esecutivo fece sua la scelta per sole 24 ore. L’8 marzo, alle 3 del mattino, il premier annunciò infatti il Dpcm che disponeva la zona rossa per la Lombardia e altre 14 province (Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Rimini in Emilia-Romagna, Pesaro e Urbino nelle Marche, Treviso, Padova e Venezia in Veneto; Alessandria, Asti e, non raccomandate dal Cts, Novara, Verbano Cusio Ossola e Vercelli in Piemonte).

Ma il giorno dopo, complice un picco di contagi, Conte cambiò idea e arrivò la stretta. Il premier illustrò nel cuore della notte un nuovo provvedimento, il Dpcm #iorestoacasa, con cui di fatto veniva imposto il lockdown con il divieto di spostamento in tutta Italia: fu firmato poco prima della mezzanotte e pubblicato in Gazzetta ufficiale.

Due giorni dopo, l’11 marzo, il governo varò l’ulteriore stretta: chiusi bar, ristoranti, quasi tutti i negozi di vendita al dettaglio, centri commerciali, parrucchieri, mercati; restarono aperti solo i servizi essenziali. L’Italia finì sotto una campana di vetro per cercare di rallentare la diffusione del virus. Serviva? Il Cts fa buon viso a cattivo gioco, si allinea e il 9 aprile, verbale numero 49 guarda avanti. Scrive che "al fine di attuare le strategie di attenuazione delle misure di contenimento del contagio il Cts concorda che le azioni dovranno essere ridotte gradualmente in modo che il numero effettivo di riproduzione dell’infezione Rt sia tenuto al di sotto di 1. Il lockdown deve essere rimosso progressivamente e in fasi successive e devono esserci almeno 2 settimane di intervallo tra la rimozione di ciascuna macro-restrizione, al fine di poter valutare il rischio di riaccensioni epidemiche". E così sarà, a suggello della linea "di grandissima prudenza" (come il Cts la definisce in uno dei verbali) voluta da Conte e Speranza.