Funivia Mottarone, i tormenti del caposervizio Tadini. "Chiuso in casa a pregare"

Tadini ai domiciliari non si dà pace: "Togliere i freni? Una decisione scellerata". Finestre serrate anche nella villa del gestore tornato libero. l vicini: capitelo

Gabriele Tadini ha lasciato il carcere di Verbania e si trova ai domiciliari

Gabriele Tadini ha lasciato il carcere di Verbania e si trova ai domiciliari

"Adesso se può cerchi di non pensarci, ma so che non è facile. Giochi a carte o faccia qualcosa che comunque può distrarla". Così si sono salutati l’altra notte Gabriele Tadini e Marcello Perillo. Il caposervizio alla funivia Stresa e l’avvocato di fiducia, che dal carcere l’ha riaccompagnato a casa. Ad attenderlo la moglie e i due figli. "Qualche abbraccio, poche parole e nessun pianto. I Tadini sono così, una famiglia compita ma unita che adesso fa quadrato in un momento difficile per tutti". Nell’abitazione di Borgomanero l’ingegnere passa il tempo come può. "Mangia, riposa, guarda la tv e soprattutto prega perché ho scoperto che sono una famiglia molto credente", spiega l’avvocato srotolando un mantra che da giorni ripetono anche amici e conoscenti.

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Il ritratto della "brava persona", dell’uomo "tutto casa, lavoro, famiglia e chiesa" fa a pugni però con la decisione di inserire i forchettoni che hanno impedito l’azionamento dei freni. "Una decisione scellerata e lui ne è consapevole: la colpa c’è ed è impossibile da negare", conferma Perillo chiamato a difendere il principale indagato nella tragedia. "Tadini è come Schettino, c’è poco da fare: era il comandante della funivia e come tale non poteva dire ’non sapevo’, qualunque cosa fosse accaduta". E qualcosa è accaduto, purtroppo. C’è però un tarlo che continua a riproporsi. "Continua a ripetermi che l’ultima cosa al mondo che poteva pensare è che si rompesse la fune".

La stessa frase che durante l’interrogatorio Tadini ha ripetuto anche al gip che a un certo punto gli ha chiesto a bruciapelo: "Perché l’ha fatto?". Invece la fune si è rotta, i freni non sono intervenuti come avrebbero dovuto e la funivia è precipitata portandosi via 14 vite e una scia di dolore in finito. Un fardello difficile da sopportare anche per Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, gli altri due indagati che il giudice però ha rimesso in libertà anche perché non c’è un riscontro attendibile sul fatto che fossero a conoscenza della storia dei forchettoni, come sostiene Tadini. Intanto a Baveno il sole di fine maggio brilla caldo, il lago Maggiore luccica bello più che mai e non sono poche le scie di motoscafi che rigano le sue acque placide. C’è aria di estate, di vacanza, della voglia di lasciarsi alle spalle mesi di lockdown. Nella villa del proprietario della società Ferrovie del Mottarone, tutte le tapparelle invece sono abbassate come fosse chiusa da tempo.

"Non è in casa, se non vedete l’auto parcheggiata significa che è uscito. L’altro giorno però è venuto a trovarlo il figlio", spiega uno degli inquilini del condominio che fa angolo alla fine di via Della Casa. Al supermercato adiacente alcuni turisti stranieri già arrivati per godersi i primi assaggi d’estate fanno spesa. Hanno la pelle chiarissima già rossa per la prima tintarella di lago. "Lei è un giornalista, vero? Guardi che il Nerini è uscito e non credo che abbia molta voglia di parlare. E c’è da capirlo", spiega un commesso. La vita prosegue nella quasi normalità ma non per tutti. Nel Torinese anche il terzo indagato, Enrico Perocchio, il direttore dell’esercizio dell’impianto, ha potuto lasciare il carcere e tornare in libertà. "Se fosse successo a me, non so come avrei potuto tirare avanti", dice l’avventore di un bar del centro mentre alla tv guarda un servizio sulla tragedia. Già, appunto: quale libertà?