Guccini: "I tempi delle osterie sono lontani. Il vino? Confesso, non ne so granché"

Nell’ultimo libro del cantautore tre storie ambientate sull’Appennino, a tavola, in tre epoche diverse

Francesco Guccini, 81 anni

Francesco Guccini, 81 anni

Ma doveva arrivare a 81 anni per dire che di vini e di osterie lei non se ne intende? Francesco Guccini se la ride: "Ho sempre raccontato che nella mia vita bolognese ho frequentato solo due osterie, Gandolfi, che poi è diventata il Moretto, e i Poeti. Le Dame non erano certo un’osteria... Quanto ai vini sì, non ne so molto: mi piacciono i rosati, qualche bianco e un bicchiere di lambrusco ogni tanto". Di vino, di amicizia e di memorabili sbronze si parla molto invece nell’ultimo libro del Maestrone, Tre cene edito da Giunti. Tre racconti ambientati in epoche diverse per narrare di tre diverse compagnie di amici che attorno a una tavola imbandita scherzano, ricordano, brindano. "Intendiamoci – precisa lui –, non ho avuto l’ambizione di raccontare, attraverso questi quadri, la storia dell’Italia. È solo un gioco senza malinconia di personaggi figli dell’epoca in cui vivono. Alla fine del libro si sprigiona un incredibile falò e ci si riallaccia al primo racconto". La cornice, ovviamente, non poteva che essere quella dell’Appennino tosco-emiliano: si parte da una notte nevosa di quasi cent’anni fa abitata da quattro ragazzi alla buona dal destino segnato e si arriva ai borghi abbandonati del nostro tempo.

Guccini, il primo di questi racconti è uscito parecchi anni fa nell’antologia dei Meridiani curata da Enzo Siciliano. E’ vero che per lei questo risultato è stato più gratificante del successo che hanno avuto brani come ‘Eskimo’?

"È vero, sarò un po’ snob ma è assolutamente così. Anche perché le canzoni che piacciono al grande pubblico non sono quelle che preferisco io. Se chiedete in giro quali sono i miei pezzi migliori sbucano sempre L’avvelenata e Dio è morto mentre io amo brani come Signora Bovary o Farewell. Poi, come sempre, dipende da chi li ascolta".

Perché ancora l’Appennino in un suo libro?

"Perché è la terra che ho conosciuto e dove ho vissuto. È la stanza della memoria. Vale un po’ il discorso degli scrittori sudamericani capaci di creare saghe su personaggi normali... Vivo a Pavana da quasi vent’anni e quando devo andare a Bologna, come è capitato l’altro giorno per fare la terza dose di vaccino, resto stordito dalla confusione. I tempi della trattoria ‘Vito’ sono lontani".

Nel libro si parla molto di vino ma ancor più di cibo. Nessuno ha mai chiesto a Guccini se sa cucinare?

"Ormai ci vedo pochissimo e non riesco a stare attorno ai fornelli ma fino a poco tempo fa preparavo per mia moglie pizzaiola e pollo arrosto. Usciamo spesso, ci sono ottime trattorie qui attorno. Proprio in questi giorni sono stato a cena con gruppo di ex studenti americani del Dickinson College dove ho insegnato per quasi vent’anni. Si sono autotassati per creare una borsa di studio che hanno intitolata a me e che destineranno ogni anno a un giovane americano desideroso di studiare a Bologna. Li ho portati in un ristorante che mette in mostra quaranta formaggi diversi...La targa me l’hanno consegnata lì".

Ma a Pavana si mangia bene?

"È una cucina che sta al confine fra l’Emilia, da cui ha mutuato i primi a partire dai tortellini, e la Toscana che regala ottimi umidi ed arrosti. Quest’anno purtroppo siamo a corto di tartufi e anche i funghi a volte scarseggiano. Amo la cucina semplice, meglio se saporita come quella dei miei nonni. Nel libro parlo della minestra di fagioli con le cotiche ma non sono mai riuscito ad assaggiarla. Diffido delle robe strane e provo sospetto verso gli chef stellati. ‘Masterchef’ non so cosa sia".

Al tempo dei suoi concerti, si concedeva spuntini sostanziosi prima di salire sul palco?

"Era un rito: vino rosato, salumi e un po’ di formaggio. Poi mi portavo la bottiglia sul palco e ne bevevo metà durante l’esibizione. Non c’era sera però che alla fine non andassimo a mangiare con i musicisti in pizzeria per stare ancora un po’ insieme. De André invece aveva una strana abitudine: prima del concerto ingoiava due uova fresche come fanno i cantanti lirici".

Tempo fa ha detto che la musica odierna è inutile. Ne è ancora convinto?

"Da quello che ascolto direi proprio di sì, mi pare che siamo tornati indietro. Non seguo ‘XFactor’ ma secondo me, concluso il periodo d’oro dei cantautori, non c’è stato niente di importante. Vedo che De Gregori e Vecchioni ancora continuano ma io non ho nemmeno più voglia di andare al club Tenco. Sanremo è troppo lontana da Pavana".

A cosa sta lavorando adesso?

"Con Loriano Macchiavelli stiamo progettando un romanzo che dovrebbe scombinare un po’ le carte: pensiamo a una donna come protagonista, forse giornalista o forse ispettrice di polizia, alle prese con un caso che parte nel ‘48 e arriva al ‘70 e investe la guerra di Spagna. Io invece sto scrivendo una serie di racconti a sfondo modenese ambientati negli anni ‘50 che in qualche modo diano conto del mio vissuto in quella città".

Come passa le sue giornate?

"Scrivendo leggendo e guardando la tv. Sto rivedendo il vecchio sceneggiato dei ‘Promessi sposi’ diretto da Bolchi e mi accorgo che in effetti gli anni si sentono. Mi rifaccio con le serie come ‘Dexter’ e ‘Breaking Bad’. Ho provato a guardare anche ‘Britannia’ ma sa che non la capisco proprio?".