I talebani spengono la gioia "La musica è proibita"

Gli integralisti rispolverano il vecchio spartito: è vietata dalla nostra religione. L’arte fa paura ai nuovi padroni che in passato avevano bandito anche il cinema

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Niente musica nell’Afghanistan dei talebani, di quelli nuovi come di quelli vecchi: lo spartito dei cosiddetti studenti coranici non cambia granché, almeno nelle parole del portavoce Zabihullah Mujahid raccolte di fresco dai media anglosassoni, secondo la cui sentenza far risuonare le note resta – nella più parte dei casi – semplicemente qualcosa di "contrario all’Islam". L’unica concessione di Mujahid, stando a quanto riporta il New York Times, è che questa volta la regola del silenzio dovrebbe essere imposta con la persuasione, non con la bruta violenza. Ma il ricordo di vent’anni fa, del divieto soffocante di ogni melodia, della televisione o del cinema fatto calare dal primo regime dei seguaci del Mullah Omar non permette di aggrapparsi a chissà quali speranze.

Mentre anche i talebani di oggi, al di là delle promesse di una maggior moderazione da parte della leadership emergente, sembrano aver già lasciato mano libera a varie milizie di base nella direzione di una rinnovata stretta generalizzata: a cominciare dai diritti minimi delle donne, rimessi subito in discussione (in diversi luoghi di lavoro, per esempio); o a quello delle denunce di vendette contro gli oppositori, incluso il giullare Khasha Zwan, ucciso a quanto pare per la sua irresistibile quanto temeraria derisione dei guerrieri barbuti.

"La musica è proibita nell’Islam – ha tagliato corto sull’argomento il portavoce – ma speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose invece di esercitare pressioni". Zabiullah Mujahid non è d’altronde entrato nel dettaglio delle forme di pressione che potrebbero stavolta essere risparmiate agli afghani dissenzienti, a differenza di quanto avvenuto negli anni ‘90. Quando, come ricorda riprendendo le stesse dichiarazioni il britannico Daily Telegraph, radio e tv erano state musicalmente tacitate (canti musulmani a parte), e le musicassette allora in circolazione venivano regolarmente confiscate e poi appese semidistrutte agli alberi come segno ammonitore.

Immagini che il portavoce-star della nuova leva non rinnega, pur provando ad allontanarle. "Noi oggi – le sue parole – vogliamo costruire il futuro e dimenticare ciò che è successo nel passato". La sensazione è quella di un tentativo – solo il tempo dirà quanto tattico – di apparire se non altro più sfumati. Nell’intervista c’è anche qualche concessione punteggiata di ambiguità sulla condizione femminile, in risposta alle sollecitazioni degli interlocutori occidentali. Viene così ribadita da Mujahid la promessa di permettere alle donne il diritto "di andare a scuola, in ufficio, all’università o in ospedale", di sfuggire al ritorno dell’obbligo d’essere accompagnate da un maschio guardiano.

Quanto alla caccia ai ‘collaborazionisti’ delle missioni dei Paesi Nato, il portavoce giura che non ne è stata ordinata alcuna, a dispetto del moltiplicarsi di episodi inquietanti negli ultimi giorni. Mentre sul diritto di chi voglia lasciare il Paese, la risposta si fa burocratica: "Non sono autorizzati a partire coloro che non abbiano documenti validi. Servono passaporti e visti per imbarcarsi su un aereo, a chi li avrà non chiederemo dove vogliono andare o cosa facessero prima".