Giovedì 25 Aprile 2024

"I talebani moderati non esistono Quale arma useranno? I profughi"

Fabbri, analista geopolitico di Limes: "Con l’Occidente tagliato fuori, Cina e Turchia si rafforzeranno"

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di Alessandro Belardetti

Dario Fabbri, la conferenza stampa dei talebani ha sorpreso il mondo. Non sono in molti, però, a credere a questa rivoluzione moderata.

"Escludo che i talebani siano diventati illuminati filosofi, hanno solo bisogno di legittimità internazionale – spiega l’analista geopolitico, coordinatore scientifico di Limes – Sono in una fase di transizione, è il momento di consolidare la presa sulle istituzioni e il territorio. Si sono mostrati più furbi del solito, consapevoli dell’investitura che hanno avuto da tutti: Usa, Turchia, Russia, Pakistan".

Insomma, non ci si può fidare del nuovo esecutivo che dice ‘no’ ai terroristi, assicura un’inclusione delle donne nella vita sociale, ‘pulisce’ il Paese dalla droga ed esclude vendette contro i traditori?

"Assolutamente no. Nel primo periodo non ospiteranno organizzazioni terroristiche, ma dire che lo faranno per sempre è impossibile. Sulle donne sono stati chiari: ben vengano, ma rispettando la Sharia e dunque con un ruolo minoritario nei canali prestabiliti. Le vendette, invece, sono già cominciate: ma è inevitabile quando si prende potere con la forza. Diciamo che questa è la faccia migliore dei talebani, figuriamoci fra qualche mese cosa succederà".

Dalle punizioni medioevali alle chat sugli smartphone: come sono cambiati i talebani in questi 20 anni?

"Lo sviluppo tecnologico non li ha cambiati a livello dottrinale. Non resterei stupito, dai fatti, se si dimostrassero quasi identici a 20 anni fa".

La vittoria sull’America, anche a livello mediatico e per l’opinione pubblica, è stata eclatante: chi sta guidando in modo così brillante i ‘nuovi’ talebani?

"È difficile dirlo. Nemmeno funzionari turchi, con cui ho parlato ai negoziati di Doha, sapevano chi li comanda davvero. Sono in una fase gassosa, non c’è una leadership definita. Il Pakistan da dietro le quinte continua a guidarli, infatti dall’addio Usa la sconfitta più pesante è per l’India".

La scelta di Biden di ritirare le truppe gli è costata cara a livello di gradimento e di relazioni internazionali. Rischiare così tanto ne valeva la pena?

"L’obiettivo Usa è lasciare alle potenze limitrofe la patata bollente dell’eventuale collasso dell’Afghanistan. L’America non voleva più fare da piantone a un territorio strategico per tutti gli antagonisti, tranne che per loro. Ha cercato per 10 anni dopo la morte di Bin Laden una narrazione per lasciare il campo senza perdere la faccia, ma non ci è riuscita. Le conseguenze negative sono solo dal punto di vista dell’immagine".

La politica di Biden, nonostante i proclami di una forte America all’estero, sta seguendo le orme di Trump: Stati Uniti focalizzati in casa propria.

"Sì, perché gli Stati Uniti sono attraversati da tempo da una tempesta nazionale. L’opinione pubblica è stanca degli impegni in Iraq e Afghanistan, così l’amministrazione vuole concentrarsi su altre situazioni strategiche limitando le risorse. Dal contenimento marittimo della Cina a quello territoriale nell’Europa orientale della Russia. Questo non è un declino, non ha nulla a che vedere con il Vietnam".

Quando i riflettori del mondo si spegneranno sull’Afghanistan, quale scenario si verificherà?

"Sarà un Paese destinato all’oblio: strategicamente per l’Occidente ha poco valore e si parlerà solo dell’esodo dei profughi. I talebani consolideranno il potere facendo anche pressione su altri Paesi, ricattandoli se sarà necessario, aprendo i rubinetti dei profughi".

L’Italia avrà un ruolo nella nuova società afghana?

"No, in un contesto come quello ci sono potenze più importanti. Noi eravamo sul campo solo per ricordare agli americani che esistiamo".

Putin e Xi strizzano l’occhio ai talebani. Quale sarà il loro ruolo nello scacchiere?

"Pechino rafforzerà la propria posizione, mentre Mosca resterà più defilata nonostante la grande influenza, perché non ha i mezzi. Ankara gioca un ruolo decisivo, dal controllo dell’aeroporto alla presenza del 15% di popolazione turcofona in Afghanistan".