I signori delle spie adesso sono gli hacker Le Carré anticipò la metamorfosi degli 007

A ventiquattro ore dalla morte dello scrittore che raccontò la guerra fredda, il cyber attacco agli Usa e i sospetti sul Cremlino

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di Roberto

Giardina

La spia è un uomo in grigio, un burocrate che non dà nell’occhio, come George Smiley il protagonista di diversi romanzi di John Le Carré, nome d´arte di David Cornwell, che prima di diventare autore di best seller, fu una vera spia, anche se ufficialmente era addetto stampa all’ambasciata britannica a Bonn.

La minuscola capitale provvisoria della Repubblica Federale gli ispirò un bel libro, tra i meno fortunati, A small town in Germany (1968), una piccola città in Germania. Bonn per lui era una triste nebbiosa cittadina balcanica in riva al Reno, popolata da Spionen, uomini e donne, dall´esistenza monotona, dove mi trovai anch´io qualche anno dopo. Dimenticate James Bond, o Mata Hari. A Bonn, grande come Perugia, le segretarie nei ministeri erano circa 15mila, il rapporto tra donne e uomini era da dieci a uno. Markus Wolf, il capo del controspionaggio della DDR, inventò i Romeo, agenti addestrati per sedurre le romantiche impiegate occidentali. Vi giunse passando il ’muro’ anche Günter Guillaume, non era un Romeo ma uno ’Schläfer’, un dormiglione, agenti mandati all’ovest e risvegliati dopo anni o forse mai. Il compagno G., come era indicato all’est, rientrò in servizio quando divenne l´uomo di fiducia di Willy Brandt. Lo incontrai perché stava sempre di fianco al Cancelliere, ma nessuno poteva sospettare del buon Günter. Provocò la caduta dell’amato Willy (1974) quando fu scoperto. Wolf è ’Karla’ in tre romanzi di Le Carré, il nemico da odiare e da combattere. A Wolf, ’Mischa’ per gli amici, non piaceva La spia che venne dal freddo (1963), e Le Carrè lo detestava.

Quando tutto finì, dopo il muro, andavo un paio di volte all’anno a cena con Wolf, ormai in pensione, nel ristorante italiano che lui da buongustaio preferiva. Da me non si faceva pagare le interviste, mi lasciava il conto, con Brunello e tartufi. Non osai mai presentare la nota spese al mio giornale, era lavoro, e anche un piacere privato. Per me era come sedere a tavola con James Bond, a cui Wolf assomigliava. Alto, affascinante, e uno scrittore, come colui che lo aveva trasformato in un personaggio da romanzo, brutto e squallido. La sua spy story preferita era Il nostro agente all´Avana, mi confidò, protagonista un rappresentante di aspirapolvere che spaccia patacche ai servizi segreti. "Allora lei non crede al suo lavoro", commentai. E Mischa sorrise. Lui e Le Carré, o meglio Cornwell, suo avversario sul campo, non in libreria, credevano al fattore umano, non alla tecnologia. Erano più simili, di quanto volessero credere.

La foto di un satellite, spiegava Wolf, ci rivela ogni dettaglio di un panzer, ma è più importante conoscere le pene d’amore di un primo ministro. Come sapeva Smiley tradito dalla bella moglie che ama. Wolf non impugnò mai una rivoltella come 007, e Le Carré rivela che da agente fu addestrato per uccidere, ma di non aver mai sparato un colpo. Computer e hacker hanno cambiato la lotta nell’ombra tra le spie? "Quando si sa tutto, in realtà non sai nulla, soffocato da milioni di dati", diceva ’Mischa’. In A Legacy of Spies (2017), in italiano Un passato da spia, Peter Guillam, un collaboratore di Smiley in La spia che venne dal freddo, mezzo secolo dopo si gode la pensione in Francia. Denunciato dai figli di Alec Leamas e Liz Gold, la coppia che fu sacrificata sul ’muro’ di Berlino, non riesce a convincere i giovani colleghi del servizio segreto di non aver avuto colpe. Erano i metodi di quel tempo, condannati in nome del politically correct e del me too. Oggi l´avversario si uccide con un drone, come un gioco al computer, da lontano, senza rimorsi. Ma alla fine nella realtà vince sempre il fattore umano.