Giovedì 18 Aprile 2024

I quattro dispersi inghiottiti dalla valanga e quei 60 morti l’anno che non si trovano più

Monte Velino, si scava da 13 giorni. Ecco perché gli sforzi di centinaia di soccorritori, droni e cani addestrati spesso si rivelano inutili

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Li chiamano dispersi. Sono quelli che non tornano. Partono per un’escursione in montagna, ciaspole e piccozza, e non si trovano più. Solo gli uomini del soccorso alpino nel 2019 ne hanno contati 60, erano 62 nel 2018. Nell’anno della pandemia sono cresciuti ancora, almeno 65. Inghiottiti dal desiderio di tornare a respirare. Sepolti da valanghe, finiti in anfratti inaccessibili anche per gli specialisti dei recuperi d’alta quota. Sembra incredibile ma è così. Accade sulla Marsica o sul Pasubio, non sull’Himalaya. A volte non basta nemmeno calarsi con le corde o con l’elicottero. Non bastano gli strumenti più all’avanguardia, le sonde con la tecnologia Recco, capaci di individuare le tracce dei metalli sotto metri di neve, facendo ’parlare’ dettagli di vita quotidiana che un alpinista si porta comunque dietro, come le chiavi di casa o dell’auto. Tracce nel nulla, tra distese infinite, silenzio, neve e vento che continuano a cadere e confondono ogni cosa.

Hanno usato tutto questo e anche gli esplosivi, i cani, i georarad e le sonde di profondità le squadre di soccorritori arrivate da ogni parte d’Italia sul Velino, in Abruzzo, per cercare i quattro escursionisti di Avezzano (L’Aquila), partiti quasi due settimane fa – era la mattina di domenica 24 gennaio – per una giornata in montagna sulle ciaspole.

Amici di tutti. Tonino Durante, 60 anni, "porta giù i ragazzi, vi aspettiamo", hanno scritto sulla saracinesca del suo negozio di coltelleria. Cugino di Gian Mauro Frabotta, 33 anni, ingegnere dell’Eni a Milano, grande conoscitore delle cime, nel 2019 aveva scalato l’Himalaya, portando lassù per una promessa il marchio del papà, che ha una bottega di specialità abruzzesi. E ha un negozio di articoli sportivi proprio di fronte a quello di Tonino anche il padre di Gianmarco Degni, 26 anni, studente, fidanzato di Valeria Mella, 25 anni, figlia di un maresciallo dei carabinieri. Sulle loro tracce ci sono centinaia di uomini: soccorso alpino, finanza, esercito, vigili del fuoco, carabinieri, polizia, protezione civile. Una macchina imponente, anche ieri squadre a piedi e in elicottero hanno perlustrato Valle Majelama, a 1.800 metri – qui si sono verificate almeno 3 valanghe, c’è un muro di neve alto fino a 12 metri – e Valle Genzana, più in basso. Sulla strada bianca che porta al monte Bicchero sono state ritrovate le auto degli escursionisti, le squadre hanno seguito le orme ma poi a 1.600 metri quelle tracce non si vedevano più, cancellate forse da neve e vento. Sono questi gli estremi del rompicapo. Seguito ogni giorno anche sui social da migliaia di persone, una tappa dolorosa dopo l’altra, una mamma di Rigopiano scrive, "per voi la natura è stata veramente matrigna. Nel nostro caso invece, lo sono stati gli uomini". Sarà come sempre la prefettura a decidere come proseguire le ricerche.

Un soccorritore ammette, con dolore: "Oggi c’è troppa, troppa neve. Una massa enorme. Quando comincerà a sciogliersi, forse...". Daniele Perilli, presidente del soccorso alpino abruzzese, in questi giorni ha sempre ripetuto: "Ci stiamo provando in tutti i modi, anche usando tecnologie che nella nostra regione non si sono mai viste". Oggi i 4 amici di Avezzano non sono ancora considerati introvabili. Ma gli uomini che lavorano in montagna sanno che può accadere anche questo. E lo sa la famiglia di Daniele Mezzari, elettricista di 42 anni, che il 25 gennaio 2020 è partito per un’escursione solitaria sul Pasubio: mai più ritrovato.

Un’operazione di ricerca in quota non è infallibile, ripetono al soccorso alpino. Spazi enormi, cavità impossibili da raggiungere, il meteo spesso diventa un nemico. A volte si devono arrendere anche i droni e non bastano i sistemi più avanzati di cartografia (come il software Geco), che dividono territori immensi in piccoli spicchi, ogni spicchio sarà perlustrato da una squadra. "In fin dei conti la montagna non è altro che una metafora della vita: obiettivo da perseguire, ascesa e conquista", scriveva la 25enne Valeria Mella, una ragazza radiosa, dalle cime del monte Amaro, sulla Maiella, era il 23 settembre. E ’Frabbò’, l’ingegnere delle vette, delle arrampicate e dei voli in deltaplano, il 2 gennaio 2020, dal suo Abruzzo, lui ridotto a un punto in una maestosa distesa di neve, era felice: "È così che io immagino il paradiso".