I sindacati chiedono la proroga secca del blocco dei licenziamenti almeno fino a fine giugno, con il contestuale allungamento della cassa integrazione per altre 26 settimane. Confindustria ipotizza uno stop selettivo del divieto (solo per le imprese in condizioni peggiori) da inizio aprile in avanti. Mario Draghi, sulla scorta delle indicazioni informali illustrate ai leader politici, si muoverà lungo una terza via: le aziende che possono ristrutturarsi devono poterlo fare senza vincoli, mentre tocca allo Stato accompagnare l’operazione con adeguate tutele per i lavoratori in uscita, anche e soprattutto attraverso una revisione radicale delle cosiddette politiche attive e, una volta fuori dalla fase emergenziale, anche dal riassetto del Reddito di cittadinanza. Chi ha parlato con Draghi in queste giornate, lo descrive preoccupato per la crisi sociale, ma anche deciso a mettere fine appena possibile agli enormi esborsi rivolti a fondo perduto (per le imprese) e a pioggia per gli ammortizzatori sociali. "Dobbiamo fare in modo che ogni euro speso in politiche del lavoro – ha spiegato ai suoi interlocutori – si trasformi in investimento in capitale umano". Il che significa: spendere in formazione, riconversione e riqualificazione professionale, non certo in interventi di mero sostegno al reddito. "Dobbiamo affrontare – ha sostenuto Draghi - il problema del lavoro che si rischia di perdere e bisogna creare nuovi posti di lavoro, aprendo i cantieri". Il lavoro, dunque, "avrà certamente una corsia preferenziale" nell’agenda del nuovo premier – puntualizza la presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, Marina Calderone – perché si stima che, con lo sblocco dei licenziamenti, le piccole e medie imprese registreranno un calo dell’occupazione di 1 milione di posti di lavoro. E il problema non è quando interrompere il divieto, ma come gestirne le conseguenze". "È difficile immaginare – insiste Emmanuele Massagli, residente di Adapt – un semplice spostamento ...
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