Martedì 16 Aprile 2024

I leader ballano per una sola stagione

Raffaele

Marmo

La politica italiana della seconda Repubblica divora rapidamente i suoi leader. Se solo pensiamo al fermo immagine di meno di cinque anni fa ci accorgiamo di come sia cambiata la scena elettorale. Allora, a tenere banco, erano Beppe Grillo, con Luigi Di Maio, e Matteo Renzi. Oggi del guru grillino si sono perse le tracce, mentre l’ex leader del Pd si è auto-acconciato nel ruolo di regista dell’operazione Terzo Polo. E, al contrario, ci troviamo a fare i conti con Giorgia Meloni e Enrico Letta: la prima stava al 4 per cento nel 2018, il secondo si era auto-esiliato a Parigi.

Certo, non mancano le eccezioni, ma sono rare e, forse, si limitano a due nomi: Silvio Berlusconi e Romano Prodi, che per più di un decennio sono stati i veri front runner della politica nazionale e che, a ben vedere, sia pure con ruoli differenti, ancora oggi dicono la loro.

Tutti gli altri leader di partiti e movimenti, in fondo, hanno ballato una sola stagione, secondo una parabola largamente coincidente con un ciclo elettorale o poco più. Questo vale oggi e lo si vede plasticamente in queste settimane. Ma vale anche per la tornata del 2013, se solo pensiamo a Pier Luigi Bersani e allo stesso Mario Monti, come anche a Gianfranco Fini. Per non parlare dei dioscuri del vecchio Pds-Ds, Walter Veltroni e Massimo D’Alema, o anche di Francesco Rutelli. O, ancora, a Fausto Bertinotti.

Le elezioni, dunque, hanno sempre segnato, per un verso o per l’altro, il destino dei capi-partito. Con cicli politico-elettorali di breve durata rispetto a quello che possiamo riscontrare nel contesto europeo: basti pensare non tanto a Angela Merkel, ma anche a figure più recenti, da Emmanuel Macron al Marine Le Pen, a Pedro Sanchez, alla stessa Ursula von der Leyen. Anche se il nostro contrappeso alla precarietà dei leader è nel Presidente della Repubblica: per due volte abbiamo rieletto lo stesso Capo dello Stato.