di Guido Bandera La guerra dell’acqua. Tutti hanno sete e la bottiglia dell’estate padana è vuota. Sui pendii della Valtellina, dietro le pareti curve di calcestruzzo, c’è un tesoro che vale letteralmente oro. L’acqua che per tutto l’inverno è caduta con straziante lentezza e la neve che si è già sciolta lasciando nude le vette è in cassaforte. Dovrà passare per le condotte forzate e muovere le turbine, servirà a produrre corrente elettrica, venduta a prezzi altissimi, e ad assicurare un brandello di indipendenza energetica nell’estate della guerra in Ucraina e del gas russo contingentato e pagato a 100 euro al megawatt ora. Sono seicento le dighe, 80 quelle classificate come grandi, che costellano le Alpi lombarde. Da poco lo Stato ne ha passato la competenza alle Regioni, tante le gestisce Edison. Che ha deciso di rilasciare un po’ di preziosa risorsa, dieci giorni di rilascio. Un segnale nel senso della richiesta del coordinatore della Commissione politiche Agricole delle Regioni Federico Caner: "Ridurre l’uso dell’acqua per l’energia e dare priorità all’uso umano". A valle dei monti, i laghi, il Maggiore al 22% del riempimento, il Lario, al 28%, e il Garda, al 62%. I consorzi che tengono le chiavi delle chiuse di regolazione cercano di mollare il meno possibile. Abbassare i livelli oltre i minimi significa far franare le sponde, far arenare i battelli carichi di turisti americani, inglesi e tedeschi, e far strage di pesci che – strano che appaia – reggono parte dell’economia dei territori. Oltre le paratie, a valle degli sbarramenti che restituiscono l’acqua ai fiumi, ai canali e alle pianure, i turisti spariscono e comincia la piccola Ucraina italiana. Qui il fronte è quello della battaglia del grano, prezzi alle stelle "produzione a rischio dimezzamento", secondo Coldiretti Lombardia. "Già perso il 20 per cento", calcolano i colleghi ...
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