Martedì 23 Aprile 2024

I grandi elettori alla sfida per il Colle Ora Conte punta al seggio vacante

L’ex premier vorrebbe entrare in Parlamento con le suppletive a Roma e votare per il Capo dello Stato

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di Ettore Maria Colombo

Già il nome, Grandi elettori, è singolare, arcaico, e anche la procedura di elezione è assai barocca. Non votano ‘soltanto’ i 945 parlamentari eletti e in carica (630 deputati e 315 senatori), cui già vanno aggiunti, di diritto, i sei senatori a vita. Il conto già fa 951 (cioè il plenum del Parlamento), cui però vanno sommati i 58 delegati regionali. Una procedura di elezione ‘rafforzata’, voluta dai nostri padri costituenti e inserita all’articolo 83 della Costituzione, che recita così: ogni Regione esprime tre delegati, scelti dai consigli regionali, tranne la Valle d’Aosta che ne esprime uno solo. Il totale, se la matematica non è un’opinione, fa 1.009.

Tanti sono i Grandi elettori che, a metà gennaio, eleggeranno il nuovo Capo dello Stato. Ma potrebbe arrivare la prima, possibile, novità. Di solito i consigli regionali mandano, a farsi un ‘viaggetto’ nella Capitale e a scorrazzare per il Transatlantico di Montecitorio (il Parlamento in seduta comune si riunisce sempre alla Camera), il governatore, il presidente del Consiglio regionale, un consigliere regionale scelto, per buona creanza, tra le fila dell’opposizione (proporzione, dunque, di 2 a 1). Ma il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, raccogliendo il ‘grido di dolore’ del presidente Anci, Antonio Decaro, ha detto "cederò il posto al sindaco (con tutta probabilità quello di Bologna, Matteo Lepore, ndr). Le Regioni seguano il mio esempio, i primi cittadini devono poter eleggere il Capo dello Stato". La scelta di chi mandare a Roma viene però fatta dai consigli regionali, a scrutinio segreto.

Resta il tema dei numeri. Sono davvero 1.009, i Grandi elettori? No, almeno non in data odierna. Alla Camera, manca il plenum (630 deputati) perché un seggio è vacante. Trattasi di quello di Roberto Gualtieri, diventato sindaco di Roma, che poi è un seggio uninominale, quello di Roma 1, regno di voti per il Pd. Ergo, tocca rivotare. La data è il 16 gennaio. Si affastellano già i candidati: il dem Enrico Gasbarra, o la dem Cecilia D’Elia, o – se si chiude l’accordo con i 5 Stelle – Giuseppe Conte. Ma ieri, l’idea dell’ex premier in corsa, ha fatto sobbalzare Renzi e Calenda, quest’ultimo pronto a scendere in campo personalmente per sbarrargli la strada. "È incredibile – scrive su Twitter il leader di Azione – il livello di sottomissione del Pd al M5s. Non esiste alcun Ulivo 2.0, ma solo un patto di potere tra due classi dirigenti prive di coraggio". Il renziano Michele Anzaldi gli fa eco: "Serve una candidatura riformista, altrimenti vince il centrodestra".

Anche al Senato mancava un seggio, quello di Paolo Saviane, senatore leghista eletto in Veneto e deceduto a luglio. Il Senato ha già provveduto a rimpiazzarlo, ma il suo posto lo prenderà Clotilde Miniasi, prima eletta della Lega ma in Calabria, il che ha provocato forti polemiche tra Lega e Fd’I. Il plenum, così ristabilito da 1.007 a 1.009, è cruciale: serve a stabilire il quorum. Il quale prevede la maggioranza qualificata dei due terzi nei primi tre scrutini e la maggioranza assoluta (50% più uno) dal quarto scrutinio in poi. In numeri, con il plenum fissato a 1.009, l’asticella da superare è 675 voti nei primi tre scrutini, 506 dal quarto in poi.

Resta da stabilire quando si aprono le danze, cioè quando si vota. La ‘letterina’ di convocazione la invia il presidente della Camera, Roberto Fico. La Costituzione prescrive che arrivi 30 giorni prima della scadenza del mandato dell’inquilino uscente (Mattarella scade il 3 febbraio), ma difficilmente Fico invierà la ‘letterina’ prima della Befana, cioè del 6 gennaio, in modo da convocare i convenuti per il 20-25 gennaio ed evitare che Mattarella si debba dimettere con troppo anticipo. Sarebbe uno sgarbo all’inquilino uscente, non è proprio il caso.