I freni erano bloccati da un mese Funivia, in arrivo nuovi indagati

Il gip smonta la tesi della Procura: pochi indizi sul gestore e direttore, a decidere era il caposervizio

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dall’inviato

Andrea Gianni

STRESA (Verbania)

L’installazione dei forchettoni o ’ceppi’, che evitavano l’azionamento del sistema frenante della cabina numero 3 della funivia Stresa-Mottarone, fu ordinata "già all’inizio della stagione, esattamente il 26 aprile", quando sono emerse le anomalie. Emanuele R., uno dei dipendenti ascoltati dagli inquirenti lo scorso 25 maggio, ha riferito che quella cabina "era solita circolare con i ceppi da parecchio tempo, per evitare l’inserimento del freno d’emergenza durante la corsa" e bloccare quindi l’impianto. Lo stesso Gabriele Tadini, il capo del servizio ora ai domiciliari, ha ammesso davanti al gip che tra l’8 maggio e il 23, giorno del disastro che ha provocato 14 morti nella località turistica sul lago Maggiore, ha usato i forchettoni "una decina di volte". Lo avrebbe fatto "anche prima del 7 maggio", perché il problema al sistema frenante andava avanti da fine aprile.

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Una decisione che, secondo la sua versione, era condivisa dagli altri due indagati, il gestore Luigi Nerini e l’ingegnere Enrico Perocchio, direttore di esercizio. Una "condotta scellerata" e di una "leggerezza sconcertante" da parte di Tadini, ha evidenziato il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici nel provvedimento con cui ha disposto i domiciliari per Tadini e ha rimesso in libertà Nerini e Perocchio. Nei confronti degli ultimi due, che restano indagati a piede libero per l’omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro, l’omicidio colposo dei 14 passeggeri e le lesioni colpose del piccolo Eitan, unico sopravvissuto, ha evidenziato però il "modesto quadro indiziario" e la mancanza di attendibilità delle dichiarazioni di Tadini, che li ha chiamati in causa. Secondo il giudice, che non ha convalidato il fermo e ha respinto la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla Procura, "sono gli stessi pm a non indicare alcun elemento dal quale sia possibile il pericolo di allontanamento".

Ed è "suggestivo ma assolutamente non conferente il riferimento al clamore mediatico nazionale e internazionale" fra gli elementi con cui è stato motivato il pericolo di fuga. Nel suo provvedimento, il gip si spinge fino a vibrare una stoccata in merito al caso di un testimone – un addetto della funivia – che a suo dire "non avrebbe mai dovuto essere interrogato come persona informata sui fatti", bensì come indagato.

"Assolutamente non la vivo come una sconfitta sul piano investigativo – ha spiegato la procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi – anche perché l’aspetto più importante è che il giudice abbia condiviso la qualificazione giuridica dei fatti". Poi ha spiegato che "valuteremo in che termini sapevano dell’uso dei forchettoni" altri dipendenti della società che a breve potrebbero essere indagati. Dalle testimonianze raccolte, emerge che l’inserimento dei forchettoni, violando ogni norma di sicurezza, avveniva "in modo abituale nel corso dell’ultimo mese" proprio per evitare un blocco della funivia per manutenzione proprio all’inizio della stagione turistica dopo lo stop imposto dal Covid.

E l’installazione dei ’ceppi’ veniva ordinata da Tadini ai dipendenti che, secondo il gip, "avrebbero potuto rifiutarsi". Uno degli addetti, Fabrizio C., ha riferito una frase pronunciata da Tadini, inquietante alla luce del disastro avvenuto poco dopo le 12 di domenica 23 maggio: "Prima che si rompa una traente o una testa fusa ce ne vuole". Poi ha racconto un altro episodio. "Nel 2012 Nerini parlando sul pericolo del lavoro in funivia mi disse che tanto non sarebbe mai successo niente. Questa frase mi è rimasta impressa – si legge nei verbali – perché poi il mese dopo fui costretto a calare 38 persone da una cabina rimasta bloccata". Tadini chiama in causa Nerini: "Ho detto a Nerini che ormai era prassi disattivare il sistema di sicurezza. Mi dicevano ’arrangiati’. Gli altri dipendenti sapevano di viaggiare senza sistemi di sicurezza. Lo avevo ordinato io". Il suo, però, secondo il gip potrebbe essere un tentativo di "attenuare le sue responsabilità", anche sul fronte risarcimenti, scaricandole sui "soggetti forti del gruppo", cioè Nerini e Perocchio.