Martedì 23 Aprile 2024

I divieti romani dimenticano i piccoli comuni

Gabriele

Canè

All’Isola d’Elba, 30 mila abitanti, un condominio di Wuhan, ci sono sette comuni. Si va a scuola in uno, e si fa benzina in quello a fianco. Sulle nostre montagne e in campagna, succede che un comune finisca al bancone del bar, e l’altro inizi dove c’è il juke box. Questo a Roma, nel Palazzo, anche se molti vengono dal contado, non lo sanno. E non lo vogliono sapere. Se no, prima di stendere l’ultimo Dpcm, avrebbero chiesto in giro. A quelli consultati con benevola distrazione, i presidenti di Regione, l’organizzazione che riunisce gli 8000 municipi d’Italia. Molti di dimensione medie, moltissimi piccoli, piccolissimi. Se vogliamo aprire parentesi, diciamo che bisognerebbe ridurli per legge almeno della metà, ma per ora le cose stanno così.

Dunque, il divieto assoluto di spostamento da un comune all’altro nei giorni di Natale e Capodanno, è una sciocchezza frutto di ottuso centralismo, e non di strenua difesa della nostra salute. A cui teniamo pure noi. Lo si dice dal giorno del Dpcm, a quanto risulta, però, nessuna breccia si è ancora aperta nel monolitico rigore dei responsabili di governo. E lo si dice non per un "tana liberi tutti", guai, ma solo perché si possa individuare

una dimensione territoriale (comprensoriale, metropolitana...) che abbia un qualche nesso con la realtà italiana. Perché a Roma, 1285 km quadrati, si potrà andare a zonzo, mentre a Morterone (Lecco), il più piccolo comune d’Italia, i 33 abitanti non potranno neanche fare un brindisi tra di loro. Mentre è chiaro che lì, come in mille altri posti, i figli sono "emigrati" nella località più vicina dove magari c’è pure un negozio di alimentari. Dunque, un saluto

al nonno, con mascherina

e distanziamento, forse

lo si può dare anche se è autosufficiente, e non per forza solo e bisognoso di cure.

Però non disperiamo. Ci sono ancora alcuni giorni per migliorare questa disposizione. Con una certezza: difficile peggiorarla.