Giovedì 18 Aprile 2024

I diari di Marta, 24 anni dopo il delitto "Nessuno può togliermi la gioia"

Ritrovati i quaderni coi sogni della studentessa uccisa senza un perché alla Sapienza: un omicidio che sconvolse il Paese

Migration

di Viviana Ponchia

Per 24 anni Marta Russo è stata il viso su una fototessera. Una giovane donna con gli occhi verdi e i capelli dorati che fissa l’obiettivo e non sa di essere, al tempo stesso, vicina alla morte e all’immortalità. Il 9 maggio 1997 fu ferita alla testa da un colpo di pistola mentre camminava con un’amica in un viale dell’università romana La Sapienza. Restò in agonia per cinque giorni poi morì. Protagonista del primo caso mediatico ai tempi di una televisione giovane. Al centro di un’indagine piena di ombre e più tardi di libri, spettacoli teatrali, un podcast. Un altro fantasma ingombrante per la procura di Roma dopo i delitti dell’Olgiata e di via Poma, inchiodata alla data fatale in cui furono uccisi anche Aldo Moro e Peppino Impastato.

Ci sono voluti tempo, pazienza e un po’ di fortuna per ritrovarla viva. Una ragazza di 22 anni appassionata e ottimista, amante della scherma, intenzionata a diventare magistrato: "Contenta per ogni attimo che vivo, perché non so quanto potrò vivere". Forse avevamo dimenticato che c’è stato un prima. Che Marta è stata viva. La sera tornava a casa e scriveva sul diario: "Dipende solo da noi essere felici nonostante accadano cose non belle. Penso che come non posso decidere su quelle che il destino mi ha riservato, posso però decidere come prenderle e come viverle. Niente e nessuno può togliermi la speranza, l’ottimismo e la gioia". Scriveva e raccoglieva i quaderni in uno zainetto nero, 9 in tutto, riempiti fra il 1985 e il 1996. Settecento pagine, rintracciate per caso dalla sorella, che vanno a puntellare un documentario. Marta Russo si racconta nel doppio binario narrativo che alterna la cronaca dell’omicidio al ritratto intimo. "Sono stata io a trovare quei taccuini – dice Tiziana –. Ho iniziato a leggerli ed è stato difficilissimo, ma sono andata avanti per sentirla vicina. È una grande eredità. Ho capito che rendendoli pubblici avrei potuto dare il racconto della sua vita e non della sua morte". È come se fosse Marta a parlare di sé. Guardando dall’alto l’Italia divisa fra colpevolisti e innocentisti, il germinare aggrovigliato del dibattito su carcere, colpa, ruolo dell’informazione, donazione di organi. Il caso viene riesaminato attraverso nuove interviste, tg, articoli, video di repertorio del processo, intercettazioni e deposizioni. Materiale, in parte inedito, dagli archivi della Corte d’assise di Roma, della polizia e da Rai Teche. E perché? Perché da quel pantano non siamo mai venuti fuori. I nomi di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro ci risuonano ancora in testa, come quello dell’usciere Francesco Liparota. E malgrado una sentenza e due condanne ancora c’è chi oscilla fra tutte le ipotesi moltiplicate dall’assenza di un movente: scambio di persona, delitto perfetto, terrorismo, sparo accidentale. Il 14 giugno gli assistenti universitari Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, allora 30enni, vengono arrestati con l’accusa di omicidio volontario. Sedotti da Nietzsche e affascinati da una morale distorta, puntano il dito i loro accusatori più accaniti, hanno sparato per dimostrare di essere superiori alla legge. Le indagini concludono che la morte di Marta Russo è stata provocata da uno stupido gioco, un colpo partito per errore deviato da una serie di rimbalzi. Dopo 6 anni di processi, testimonianze ritrattate, errori di valutazione, la Cassazione condanna in via definitiva Scattone a 5 anni e 4 mesi per omicidio colposo aggravato e Ferraro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento. Resta sottotraccia il tema del delitto perfetto. L’omonimo film con Michael Douglas che esce nel ’98 aiuta a fare i titoli, dà una mano anche Schindler’s List con lo sparo dalla finestra, tramesso qualche sera prima del delitto.