I complimenti per strada? Sì, se simpatici

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Franca

Ferri

Si è persa l’arte del complimento, di quell’apprezzamento lieve e arguto che può lasciare indifferente, ma può anche far piacere a una donna (o a un uomo), senza mai provocare fastidio, senza debordare immediatamente nell’insulto. Tutto l’opposto del ’catcalling’, termine che oggi identifica le molestie verbali, in particolare quando avvengono in strada. Termine inglese che denota una visione del mondo machista, da predatore che non vede la donna, ma solo l’oggetto. Una forma mentis da eradicare completamente, insegnando a tutte le età che ’le donne non si toccano neanche con un fiore’: per estensione, neanche con le male parole, con i fischi, gli apprezzamenti volgari, ecc..

Quindi, che facciamo? Rinunciamo per sempre ai complimenti? O piuttosto impariamo di nuovo a farli (e a riceverli) in modo garbato e misurato? Forse un esempio spiega più di tanta teoria. Episodio vero, accaduto una trentina di anni fa: è luglio, una ragazza in minigonna torna a casa per pranzo. Passa davanti due muratori che mangiano un panino, seduti su dei gradini. "Peeeerò – dice uno dei due, con forte accento bolognese, – che due belle colonnine...". L’altro aggiunge: "Anche il capitello non è niente male". Oggi lo chiamerebbero catcalling (e qualcuno direbbe che ’capitello’ è una parola un po’ troppo difficile). Invece, lo considero uno dei complimenti più spontanei e ben riusciti che mi siano stati fatti in tutta la vita. Perché quella ragazza ero io. E rido ancora, 30 anni dopo.