Giovedì 18 Aprile 2024

I Cinque stelle e la riforma spartiacque

Draghi ha imposto la sua linea

La riforma Cartabia è stato uno spartiacque nella breve vita del governo Draghi. Per la prima volta su un tema identitario come la giustizia il M5s non ha potuto imporre il proprio punto di vista, come invece aveva fatto nel primo governo Conte con la Lega e nel secondo con il Partito democratico. Mario Draghi ha fatto capire al suo predecessore (che non ama, non riamato) che si era arrivati al punto di rottura. L’intelligenza di Giancarlo Giorgetti e di Luigi Di Maio, con la silenziosa benedizione di Beppe Grillo, ha evitato il primo passo verso una crisi

Marta Cartabia non è certo una donna vicina al centrodestra e Giorgio Lattazi, presidente emerito della Consulta al quale aveva affidato la stesura di una bozza di riforma, nei nove anni alla Corte costituzionale non si è certo speso in favore di Berlusconi. La proposta iniziale era un decoroso avvicinamento all’abbecedario del garantismo previsto peraltro dalla Costituzione. Permangono elementi di debolezza, come l’assenza di limiti nella durata del processo di primo grado e la semplice previsione di un possibile procedimento disciplinare al magistrato che non rispetti i tempi del procedimento nella fase delle indagini.

Ma la caduta del totem del processo eterno previsto dalla riforma Bonafede è un risultato di indubbio valore.

Ieri la Cartabia si è detta certa della lealtà della maggioranza e di un sollecito passaggio in Parlamento. Vedremo. Sembra certo che - fosse stato per Conte - il provvedimento non avrebbe avuto il voto dei ministri del Movimento a meno di rinvio a quando lo stesso ex premier sarà incoronato capo dei Cinque Stelle: incarico che lo avrebbe portato a giocare al rialzo.

Con Draghi questo non è più possibile. S’intenda: il presidente del Consiglio sa benissimo che non può mettere sempre sugli attenti i suoi ministri. Non sarebbe né giusto, né democratico. Finora ha infatti mostrato notevoli capacità di mediazione, ma la grande novità è che a un certo punto dice basta, si decide.

E’ stato nominato da Mattarella alla testa di un governo di unità nazionale con due obiettivi: sconfiggere la pandemia e portare avanti le riforme per avere i tanti miliardi del piano di rilancio. Sta mostrando capacità in entrambi i campi. E’ al tempo stesso gradualista e decisionista: si guardi all’obbligo vaccinale per gli insegnanti. Per decidere aspetta un piano epidemico e organizzativo più preciso. Ma quando il quadro sarà chiaro, deciderà: auspicabilmente con un voto un unanime. Auspicabilmente…