Samuele, monaco Hare Krishna. "Da Bologna a Londra, ecco come ho cambiato vita"

Dalla passione per la musica elettronica alla meditazione. Il 28enne: "Una vocazione da sempre. Non è fuori moda, la felicità è servire"

Samuele Rizzoli-Shyam Govinda das con altri monaci

Samuele Rizzoli-Shyam Govinda das con altri monaci

Londra, 26 settembre 2020 - E' un monaco Hare Krishna a Londra, si chiama Shyam Govinda das. Su Whatsapp si presenta con la foto di Srila Prabhupada, il fondatore. Ma all'anagrafe il suo nome è Samuele Rizzoli, ha 28 anni, è bolognese. Ci spieghi: un  ragazzo che studia musica elettronica in una città godereccia per eccellenza, come finisce a Londra in un tempio? "Era la cosa giusta da fare, un desiderio che avevo da sempre. L’ho capito sette anni fa a un corso serale di yoga. E' stato un processo naturale. Ho ricevuto un’educazione cristiano-cattolica. L’ho abbandonata nell’adolescenza, Bologna ti risucchia. Serate, ragazze...”.

Samuele Rizzoli, monaco Hare Krishna
Samuele Rizzoli, monaco Hare Krishna

Gli Hare Krishna in Italia spopolavano negli anni Settanta, pagine di giornali dedicate a raccontare i figli dei fiori. Oggi sembrano spariti. “In Inghilterra è diverso. La comunità Hare Krishna è molto grande e visibile. Penso alle danze nelle strade, penso  alla Corte. I giornalisti hanno scritto di recente di “Harry Hrishna”, un gioco di parole per dire che il figlio di Carlo aveva iniziato a fare meditazione. Anche se completamente distaccata dalla nostra pratica”. 

Magari influenzato dalla moglie Meghan, è noto che sia una yogina. Sarà per questo percorso che alla fine ha rinunciato al titolo? Accenno di risata: “Quella cultura nel Regno Unito e negli Usa è molto più conosciuta che in Italia”.

Parlando invece della sua famiglia, Samuele. In questi giorni è tornato a Bologna.  “Genitori e fratelli mi supportano, mi rispettano. C’è grande interesse per le opportunità che mi dà questa esperienza”.

Cosa vuol dire fare il monaco? “Ci chiamano monaci ma siamo brahmacari, tradotto dal sanscrito vuol dire studenti celibi. È una delle quattro fasi della vita di un uomo. Prima del matrimonio, un giovane  studia, si forma, sotto la guida dei maestri spirituali. Pratichiamo il celibato e lo associamo con il monachesimo. E non è una scelta  a vita. Possiamo poi decidere di avere una famiglia”.

Lei ha già scelto? “Non ancora”.

Non ha uno stipendio. Come si mantiene? “Veramente  non abbiamo nemmeno libero il fine settimane. Sono giornate molto intense, ma a servizio della comunità. Il nostro lavoro  produce entrate anche sostanziose che però gestiscono altri. Noi monaci abbiamo una vita sobria, non possediamo denaro”.

Il suo compito qual è? “Mi occupo del 'Bhakti yoga London', un’associazione no profit per la divulgazione delle pratiche di meditazione e filosofia”.

Le manca una fidanzata? “Assolutamente no”.

Le sue giornate. “La nostra è una vita di monacato. Ci svegliamo molto presto, alle 3 o alle 4, per le pratiche individuali o collettive di meditazione, studio, contemplazione. Alle 8 c’è la colazione, insieme”.

Rigorosamente vegetariana. “Alimenti coltivati e preparati da noi”.

I principi che ispirano le sue giornate? “Si riassumono in una parola, servire”.

Molto controcorrente. “Eppure la felicità può arrivare solo da questo, non esistono scorciatoie. La via più veloce verso la felicità e la realizzazione personale è servire gli altri, la natura, l’ambiente. Lo facciamo perché vogliamo servire il divino”.

I divieti?  “Niente fumo, niente alcol, niente droghe. E per nutrirsi bisogna cercare di avere un impatto il meno possibile violento. Non giochiamo d’azzardo, non scommettiamo. Alla fine, una vita molto naturale”.