ArchiveUcraina, l'errore di Putin. "Così rischia un colpo di Stato"

Ucraina, l'errore di Putin. "Così rischia un colpo di Stato"

Calzini (John Hopkins) demolisce lo zar: "Ha sbagliato e ora non sa cosa fare"

Arresti seriali nelle manifestazioni di piazza contro l’invasione dell’Ucraina (Ansa)

Arresti seriali nelle manifestazioni di piazza contro l’invasione dell’Ucraina (Ansa)

"L’attacco di Putin all’Ucraina è peggio di un crimine, è un errore. Avevamo di lui la visione di un cinico calcolatore abituato a vincere, ma adesso constatiamo che si trattava di una visione deformata: ha sbagliato strategia, si è messo nell’angolo, è in difficoltà sul piano interno e internazionale. Il periodo d’oro è terminato". Parla Paolo Calzini, Senior Associate Fellow presso la Johns Hopkins University di Bologna, docente di relazioni internazionali e studi russi a Washington, Colonia, Mosca.

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Professore, qual è il principale errore di Vladimir Putin?

"Aver lanciato il suo esercito in una guerra fratricida. Cercare di convincere l’Ucraina a restare neutrale ricorrendo all’uso della forza è un controsenso. Le due società, russa e ucraina, sono fortemente compenetrate fra loro. Putin ha mandato i carri armati contro un paese storicamente fratello: più questa guerra si prolunga nel tempo, peggio sarà per lui".

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Sul piano interno potrebbe scatenarsi una rivolta?

"La popolazione russa è in ansia perché sono i suoi figli, sono i suoi ragazzi che sono stati mandati al fronte. Come reagirà quando le bare dei caduti torneranno in patria, ammesso che tornino, e che le autorità politiche e militari le lascino vedere? Come impedire che la resistenza ucraina, che Putin probabilmente non si aspettava, diventi mito agli occhi della gente?".

Che impatto avranno le proteste puntualmente represse?

"Sono manifestazioni limitate, ma ormai il malessere dilaga a più livelli: so per esempio di un forte dissenso da parte degli scienziati dell’Academy of Science, che sono contrari alla guerra. Che effetto avranno sul piano quotidiano la caduta del rublo, l’impossibilità di viaggiare, le sanzioni? Non voglio fare paragoni azzardati, ma c’è il precedente dell’Afghanistan: l’alto numero di vittime pesò sulla decisione del Cremlino di ritirarsi da quella guerra. Considerando il sistema oligarchico e autoritario del potere in Russia, non aspettiamoci la rivolta di parte della popolazione: l’eventuale rottura, con diretta perdita d’influenza di Putin, dovrebbe caso mai cominciare dai vertici. La società russa nel suo insieme è una società post-eroica, una società che non vuole la guerra. E soprattutto non una guerra come questa: un terzo della popolazione ha rapporti familiari o amichevoli con gli ucraini".

Gli oligarchi miliardari, che pagano il prezzo delle sanzioni, potrebbero ribellarsi a Putin?

"Che prezzo paghino non lo sappiamo: i loro soldi e i loro beni sono all’estero, hanno avuto modo di occultarne la maggior parte. È gente che ha la doppia cittadinanza, in Inghilterra o a Cipro, che controlla società schermo, che agisce attraverso prestanomi: non sarà facile individuarli. Certo il clima di guerra esistente oggi rompe le situazioni di privilegio straordinarie di cui godevano".

Che significato hanno il ritorno della diplomazia e l’inizio della trattativa?

"È la prova che Putin è in difficoltà. Deve prender tempo per trovare una strategia. Prendersi tutta l’Ucraina, ma a che prezzo? Limitarsi al Donbass? Ritirarsi lasciando un’Ucraina disarticolata? Credo che voglia crearsi una cintura di sicurezza a est, una sorta di cortina di ferro che comprende la Bielorussia, il Donbass e forse una parte dell’Ucraina. Vedremo".

La minaccia di ricorrere all’arma nucleare sembra il gesto disperato di un paranoico. Dobbiamo lasciargli una via d’uscita? Quale?

"Bisogna che si arrivi ad un compromesso, ad una stabilizzazione sul terreno. Come, oggi nessuno può dirlo".