Venerdì 19 Aprile 2024

"Ha massacrato Giulia nella villetta" Ergastolo confermato per Cagnoni

Ravenna, anche la Cassazione condanna il dermatologo. Nel 2016 uccise la moglie da cui si stava separando

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di Lorenzo Priviato

Per tre notti la spettrale villa liberty di via padre Genocchi, a Ravenna, aveva conservato un terribile segreto. Quello di un corpo straziato, senza vita e senza abiti, di una giovane donna, il volto cancellato a suon di bastonate e colpi inferti contro lo spigolo. Una mano intrisa di quel sangue rimase bene impressa sul muro. Era quella – disse la Scientifica – del marito, Matteo Cagnoni, oggi 55enne. È lui l’assassino della moglie 39enne Giulia Ballestri, che il 16 settembre 2016 voleva lasciarlo definitivamente e per questo fu uccisa. Ha deciso così la Corte di Cassazione, che nella tarda serata di ieri ha confermato le sentenze di primo e secondo grado: ergastolo per un omicidio pluriaggravato compiuto con premeditazione e crudeltà.

È la fine di un incubo. Per la placida e aristocratica Ravenna, che nella sua recente storia mai aveva dovuto fare i conti con un delitto tanto efferato e ne è uscita livida. E per i figli della coppia: "Per i bambini di Giulia, almeno lo strazio giudiziario può dirsi concluso", il commento a caldo dell’avvocato Giovanni Scudellari, che tutela la famiglia Ballestri. Peraltro solo da poco risarcita, con 4 milioni di euro. Non è bastato, è evidente, a intenerire i giudici del Palazzaccio. Che hanno rigettato la richiesta di perizia psichiatrica avanzata dalla difesa, in ragione di una "personalità fortemente narcisistica" che sarebbe stata all’origine di un vizio parziale di mente dell’imputato. Strategia nuova e coraggiosa, quella adottata dall’avvocato Gabriele Bordoni, entrato a partita in corso, dopo il processo di primo grado, e che si è ritrovato nella condizione del portiere che anziché il pallone deve parare un treno che fa i duecento. Già, perché se oggi Cagnoni viene definito in stato di ‘black out di segmento’ – cioè non ricorda di essere stato lui, ma neppure il contrario – all’inizio spergiurava sulla propria innocenza e di dichiararsi affetto da semi infermità non ci pensava proprio.

Eppure, i binari che ha inforcato lo hanno portato a schiantarsi. Prima cercando di fuggire poco prima di essere arrestato, la notte tra 18 e 19 settembre 2016, una folle e rocambolesca corsa tra rovi e calanchi di Fiesole, dopo avere trovato rifugio nella villa dei genitori. Poi, al processo in corte d’assise, la fantasiosa controaccusa sul fatto che il delitto portasse la firma non sua, bensì di un ladro acrobata diventato feroce assassino, capace di entrare dall’unica finestra aperta della villa dopo avere scalato a mani nude una parete alta dieci metri e, prima di uscire, reinserendo un allarme di cui non conosceva il codice. Infine, ha inciso il fango gettato sulla memoria della defunta consorte, attribuendo a rapporti sessuali con un amante il sangue di lei trovato sui cuscini nella villa dell’omicidio. Cuscini che lui stesso trasportava in auto. Versioni bizzarre (eufemismo) che facevano a pugni con i riscontri della Procura e col buon senso.

Farsi passare per incapace di intendere e di volere, ma solo all’ultimo giro di boa, non ha pagato. Già dalle prossime ore Cagnoni dovrà lasciare il carcere di Ravenna – il cui ritorno dopo la detenzione a Bologna aveva destato l’indignazione delle associazioni femminili – per essere destinato a uno di massima sorveglianza. Non scrive più lettere da mesi, il dermatologo, quelle attraverso le quali riversava montagne di melma contro l’amante della moglie e persone a lui invise. In compenso, calcolatrice penitenziaria alla mano, e solo in caso di totale resipiscenza, potrebbe godere dei primi permessi da marzo 2022. Per ora ipotesi solo sulla carta.