Caso Eitan, guerra sull’educazione del piccolo. "In Israele crescerà da vero ebreo"

La zia materna tira dritto: non mi interessa quello che dice il tribunale, i genitori volevano tornare qui. Ma restano molti punti oscuri sul trasferimento. Tel Aviv minimizza: è solo una lite tra le due famiglie

Ebrei ultra ortodossi a Gerusalemme

Ebrei ultra ortodossi a Gerusalemme

"Rapito? Noi non usiamo quella parola. Lo abbiamo riportato a casa". Così, a poche ore dal drammatico e misterioso ritorno in Israele del piccolo Eitan Biran, la zia Gali Peleg (sorella della madre, Tal Peleg) cerca di illustrare in una intervista radio le ragioni per le quali è più giusto che il nipote cresca nel Paese dove sono sepolti i genitori, e non in Italia con l’altra zia, Aya Biran. È però un’intervista ricca di reticenze. Come è accaduto che il bambino abbia passato la frontiera fra Italia e Israele con documenti in apparenza incompleti? "Io di questo aspetto non mi sono occupata", taglia corto Gali Peleg. Sui media qualcuno ipotizza che sia stato noleggiato per lui un aereo privato. Altri ritengono che sia invece passato da un Paese terzo, da dove avrebbe raggiunto Israele con un volo di linea. È stato il nonno Shmuel ad accompagnarlo? "No comment". Ma la operazione non è stata forse condotta in contrasto con la convenzione dell’Aja che tutela lo spostamento di minori? "Io non conosco gli aspetti legali. I tribunali non mi interessano. Solo Eitan mi interessa, e il suo futuro". Ma si può sapere dove è adesso, Eitan? "In un posto dove riceve le migliori cure sanitarie e mentali".

Eitan, nonno indagato per sequestro

Le autorità mantengono un basso profilo. Per il ministero degli Esteri è solo "una lite familiare". La polizia israeliana ha ricevuto la richiesta della famiglia Biran di indagare sul prelievo del bambino e sul suo ingresso in Israele. Secondo le prime ricostruzioni sarebbe stato condotto dal nonno Shmuel Peleg, che aveva con sé il suo passaporto israeliano. È possibile che la polizia voglia ascoltare la sua versione. La stampa locale segue con costernazione la battaglia fra le due zie, che riecheggia il classico dilemma di re Salomone di fronte all’amaro confronto fra due madri. La zia che vive in Israele sostiene che i genitori – Amit e Tal – avrebbero voluto che crescesse in Israele con una identità spiccatamente ebraica. Sono tasti a cui l’opinione pubblica locale è molto sensibile.

Ieri, la zia che vive in Italia ha replicato con un sofferto testo in ebraico e in italiano in cui ha ricordato che Eitan "è un bambino, ma non è la memoria di mio fratello e della mia cognata". Non bisogna fare di lui un monumento. Per il ramo israeliano la sua futura educazione ha invece il senso della realizzazione di un testamento postumo dei genitori. "Amit e Tal – secondo Gali Peleg – progettavano di tornare in Israele quest’anno. Amit si era iscritto all’Università". Il rimpatrio di Eitan era dunque una necessità. All’arrivo, ha raccontato Gali Peleg, "bisognava vedere la sua emozione. ‘Sono finalmente in Israele’, ha detto. Era al settimo cielo, gli è tornato il colore sul viso".

Poi sono giunte le dosi di fango, con accuse alla zia Aya di non aver mai avuto un rapporto stretto né con la madre Tal né con Eitan e di aver ottenuto la sua custodia in modo scorretto. Nel suo testo Aya Biran ha replicato di aver dovuto, suo malgrado, essere "la portatrice di cattive notizie" a Eitan. Un compito ingrato. Ha anche descritto i suoi tentativi "di dare un abbraccio a un bambino che non lo vuole, perché vuole quello della mamma. E io al fianco, con le lacrime bloccate e con un grido enorme soffocato in gola". Lei spera ora di ottenere la cooperazione delle autorità israeliane per riavere Eitan. "Vogliamo solleticarlo di nuovo facendogli ‘formiche, formiche’ sulla pancia" ha detto alla tv israeliana. Le sue figlie, ha aggiunto, sono in ansia per lui. "E anche il gatto Oliver lo aspetta".