
Un’immagine fornita dalla Luna Crescente iraniana mostra soccorritori al lavoro tra le macerie di un edificio residenziale colpito a Tehran da missili israeliani
Un altro conflitto sta incendiando il Medioriente. Israele ha attaccato l’Iran che, senza attardarsi, ha risposto inviando missili e droni. Una escalation che nei palazzi del potere era prevedibile, ma che per le strade, tra la gente, era del tutto fuori dai piani. In poche e pochi si sarebbero aspettati uno spostamento di scenario di guerra come quello in cui siamo piombati ormai qualche giorno fa. Le prospettive future dovrebbero far tremare i polsi, giusto qualche ora fa il presidente USA, Donald Trump, ha lasciato i lavori del G7 in Canada firmando un documento volto ad allentare la tensione, ma modificato col concetto che l’Iran è la “fonte principale di instabilità e terrore nella regione”, le evoluzioni geopolitiche vedono protagonisti America, Cina e Russia con, sullo sfondo, un’Unione europea sempre meno centrale.
La guerra non preoccupa più

Al netto delle valutazioni politiche decisamente troppo complesse per poter essere decrittate, c’è un tema che appare chiaro anche ad occhi non troppo allenati a osservare il presente: la normalizzazione dei conflitti. In uno scenario internazionale in cui la guida di un Paese come l’Iran sta per cadere sotto il fuoco di Netanyahu, i morti, da una parte e dall’altra si contano quotidianamente e le immagini di distruzione e macerie sono all’ordine del giorno, le persone faticano a indignarsi. Ascoltano, seguono, quando va bene, approfondiscono l’informazione, ma poi finisce lì. La guerra non preoccupa più e, talvolta, rischia addirittura di non fare notizia.
Al giorno d’oggi, pare piacere molto di più guardare il mondo dallo spioncino, vedere gli ultimi sviluppi dei casi di cronaca nera del Paese, piuttosto che capire cosa sta accadendo attorno a noi e quali sono gli equilibri mondiali che si stanno squagliando come neve al sole, mettendo a repentaglio la nostra stessa interpretazione del mondo per come lo abbiamo conosciuto fino a ora. Complice, forse, anche una comunicazione sempre più immediata e capace di dire tutto, in pochissimo tempo e senza intermediazione, tutto accade senza che scomodi troppo le nostre coscienze e il rischio è che questa normalizzazione possa divenire ben presto un’anestesia permanente delle menti.

Cosa potrebbe scuoterci?
Più di qualcuno potrebbe interpretare questi atteggiamenti come la chiara volontà di rimuovere il dolore, ma il rischio reale è che si tratti piuttosto di una assuefazione in piena regola e, si sa, quando ci si abitua a qualcosa l’unico meccanismo in grado di appagare la mente è una dose maggiore. Stando a questa logica, il pericolo a cui stiamo andando incontro a grandi passi è che a scuoterci potrebbero essere scenari ancor più gravi di quelli che abbiamo davanti adesso, proprio in questi attimi.
Del resto, siamo animali con un enorme spirito di adattamento che, evidentemente, hanno imparato rapidamente a fare i conti con un mondo in guerra nonostante gli ultimi decenni di pace, almeno in Europa, siano stati faticosamente conquistati. Il tema vero, quello che non dovrebbe farci dormire la notte, è che tutto questo è diametralmente opposto a quanto, come collettività e opinione pubblica, siamo chiamati a fare e a essere. Dovremmo costruire un dibattito sulla pace, ma non in senso astratto, con concretezza e con nuovi strumenti culturali, capaci di farci comprendere le dinamiche di un mondo che, per troppo tempo, abbiamo letto esclusivamente con gli occhi di un Occidente che troppo insegna e poco aiuta a capire. E invece siamo intenti a scagliare la prima pietra contro chiunque, pensando che, alla fine, la guerra sia una cosa che non ci riguarda e che dire no – o sì – al riarmo sia l’unica cosa di cui preoccuparsi, l’unico argomento di cui dibattere e, magari, dividersi dentro e fuori dai palazzi della politica.
Servirebbe un sorso di umanità, quello stesso che, troppo spesso, perdiamo dentro schermi sempre più piccoli, intenti come siamo a smistare like, messaggi in direct e commenti più o meno desiderati. Tra le granite e le granate.