Giovedì 18 Aprile 2024

Grillini tra maldipancia e voglia di governo Di Maio tentato dal sì, ma Dibba strappa

L’ala dei duri e puri contro il premier incaricato: "Rappresenta l’establishment". I governisti trattano per tenere i posti. Qualunque sia la scelta, esiste la possibilità di una scissione. Potrebbero lasciare il Movimento almeno 20-30 parlamentari

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di Elena G. Polidori

Il punto. "Io credo che il punto – dice in assemblea dei gruppi Luigi Di Maio, sempre leader ‘vero’ del M5s – non sia attaccare o meno Draghi: Mario Draghi è un economista di fama internazionale che ha legittimamente e correttamente risposto all’appello del capo dello Stato. Io credo che il punto qui sia un altro e prescinde dalla figura di Mario Draghi. Il punto è che la strada da intraprendere, a mio avviso, è un’altra. E, come ho detto, è quella di un governo politico. Che nessuno pensi di dividerci su questo".

Poi, fuori, c’è comunque Alessandro Di Battista. Che strilla e soffia sul fuoco. "Le pressioni saranno fortissime – scrive su Facebook – vi accuseranno di tutto. Di essere artefici dello spread. Di irresponsabilità. Di blasfemia perché davanti all’Apostolo Draghi non vi siete genuflessi. Voi non cedete. Questa manovra è stata pensata ad hoc per indebolire il Movimento e plasmare il Recovery a immagine e somiglianza di Confindustria. Non cedete. Dovranno farcela con le loro forze, non con il nostro avallo. Qualsiasi sostegno (diretto, indiretto o mascherato) a un governo Draghi diventerebbe un NO a Conte presidente del Consiglio e Sì a Renzi. Ovvero a colui che ha creato tutto questo. È inaccettabile".

Ecco, in questo clima, in una giornata scandita da veti, proclami di chiusura, minacce verso i dubbiosi con tanto di ’giallo’ su parole di Grillo ai suoi di rifiuto netto all’operazione Draghi ecco che, come sempre, arrivano quelli ‘pesanti’ a far raffreddare gli animi dei duri per sempre e a calmare la base parlamentare in ebollizione. Cercando una via d’uscita. Il Movimento, disorientato dagli eventi, cerca ora disperatamente di adattarsi a una situazione inedita, di trovare un centro di gravità comune che eviti spaccature dolorose condannandolo all’irrilevanza fino alla fine della legislatura.

Un’impresa complessa con Di Maio, ma anche l’ex ministro Federico D’Incà ("Sediamoci con Draghi per capire cosa propone"), Nicola Morra ("Prima vedere cammello, non pago moneta") Manlio Di Stefano ("L’Italia ha bisogno di un governo pienamente politico") e Stefano Buffagni ("Draghi profilo inattaccabile, ma anche Conte…") impegnati a cercare di tenere un’assemblea fiume.

A fine serata, dopo un incontro coi leader della ex maggioranza (chiamata da Franceschini al grido "non distruggiamo quello che abbiamo costruito", ndr) sarebbe stata partorita una linea comune: governo politico sì, governo tecnico no. Si deve "far contare – è il mantra – la propria forza numerica nelle Camere". Racconta un componente dell’esecutivo in quota grillina: "Beppe Grillo ha detto, a quelli che lo hanno sentito, che lui sostiene Conte, non sosterrebbe mai Draghi. Il punto è che il no è l’unica posizione possibile al momento, altrimenti il Movimento è morto".

Con il no, tuttavia, si mette in conto una scissione, si calcolano tra i 20 e i 30 parlamentari che potrebbero, come ha fatto ieri Emilio Carelli, levare le tende e lasciare il partito. "Con il sì – spiega un parlamentare molto vicino a Conte – non parliamo di scissione, il Movimento si spaccherebbe a metà, non esisterebbe più". E, infatti, l’ostilità nei confronti di un governo tecnico è fin troppo alta nei gruppi parlamentari del M5s per non capire che senza un passo avanti – in senso politico – anche da parte del presidente incaricato, il gruppo grillino passerà in modo quasi compatto all’opposizione. Per non morire o forse per morire in piedi, come forse vogliono fare i duri come Paola Taverna e Danilo Toninelli. Per dissipare i dubbi, alla fine potrebbe sempre rientrare in campo Rousseau.

"Quella del voto su Rousseau – ha infatti spiegato Crimi – è un’ipotesi da non trascurare". In tutto questo s’innesta la diatriba sul futuro politico di Giuseppe Conte, un rebus che ora i 5 Stelle vorrebbero sciogliere, ma la linea del premier dimissionario per ora resta un mistero.