Il Green pass serve ovunque, ma a messa non è ancora obbligatorio

Con l'ultima stretta del governo serve il certificato verde rafforzato per andare persino a prendere un caffè al bancone del bar. Eppure per partecipare a una liturgia in chiesa non è richiesto neanche il tampone. Vige ancora un protocollo d'intesa fra Cei ed esecutivo siglato nel maggio 2020

Una messa a Santo Stefano (Ansa)

Una messa a Santo Stefano (Ansa)

Roma, 27 dicembre 2021 - Anche per prendere un caffè al bancone del bar serve il Green pass. Quello rafforzato, tra l’altro, rilasciato solo a guariti e vaccinati. Non c’è santo che tenga: senza il Super certificato verde l’espresso uno se lo fa a casa e non ci pensa più. Oppure accende un cero alla Madonna in chiesa, anche durante la messa, chiedendo che le restrizioni passino. Tanto per partecipare alla liturgia non serve alcun Pass. Incredibile, ma vero, nonostante la quarta ondata trainata da Omicron, uno può sedersi tra i banchi sotto l’altare anche senza tampone, col rischio concreto di infettare o infettarsi. Quasi che bastasse lo Spirito Santo, non tanto a supportarci nella battaglia contro il virus, ma a risparmiarci da questo. Così in pandemia niente cinema per tutti e sì alla messa come se nulla fosse (o quasi). Mistero (della fede) del Concordato si potrebbe pensare. E, invece, la risposta sta nell’attuazione pedissequa del principio di laicità dello Stato. "La commissione italiana per trattare con la Santa sede, tra l’altro non rinnovate dal 2017, non è stata convocata, la decisione di consentire lo svolgimento senza il Green pass delle funzioni religiose nelle chiese cattoliche, così come negli altri luoghi di culto, sta nella volontà dello Stato di non imporre alle comunità religiose una linea – spiega Pierluigi Consorti, docente di Diritto ecclesiastico all’Università di Pisa –. Si è preferito piuttosto puntare sui protocolli d’intesa"

In altre parole, si è lasciata ai vertici religiosi – la Conferenza episcopale italiana, per i cattolici – la possibilità di disporre proprie norme anti-Covid da applicare durante i riti, a patto di sottoporle al vaglio preventivo del Comitato tecnico scientifico. Così all'inizio del 2020 le messe pubbliche sono state vietate, fra le proteste animate degli ultraconservatori che gridavano all’attentato alla libertà religiosa. I mesi sono trascorsi, con questi anche la prima ondata pandemica, fino ad arrivare all’ok del Cts alla firma del protocollo d’intesa fra il governo e la Cei che ha consentito la ripresa delle funzioni in presenza, a partire dal 18 maggio 2020. 

Dall’obbligo di mascherina al distanziamento fra i banchi, passando per la ricezione della Comunione solo nella mano e alla sospensione del tradizionale scambio della pace: sono queste le regole in vigore da oltre un anno nelle chiese. Da allora, salvo modesti cambiamenti – è sparito l’obbligo d’indossare i guanti per il celebrante – tutto tace. Né il governo ha chiesto di rimettere mano al protocollo, né l’episcopato, diviso fra chi invoca un giro di vite e chi non intende cambiare una virgola, si è fatto avanti. Il 10 gennaio prossimo si riunirà la presidenza della Cei. Se a quella data arrivasse dall’esecutivo la richiesta d’introdurre il Pass a messa, l’impressione è che i presuli non alzerebbero le barricate. "Il nostro è uno stile dialogante – conferma il vice presidente dell’episcopato, Nino Raspanti, ordinario di Acireale –. Nel caso tratteremo la questione per dire sì come per dire no". In Olanda, Svizzera, Croazia e Lussemburgo, pur se con modalità diverse, è previsto il Pass per partecipare alle funzioni. In quei Paesi vige una precisa legge dello Stato. Non ci sarebbe nulla da inventarsi, insomma. Il certificato verde a messa non è un’eresia, ma un supporto alla salvezza. Se non delle anime,  dei corpi.