Il boss Graviano: "Da latitante ho incontrato Berlusconi tre volte"

Il capo mafia lo ha detto nella sua deposizione nel processo "'ndrangheta stragista" in corso a Reggio Calabria. Ghedini, il legale del Cavaliere: "Non è vero"

Giuseppe Graviano (foto Ansa)

Giuseppe Graviano (foto Ansa)

Reggio Calabria, 7 febbraio 2020 - "Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitane", sono le parole choc usate nella sua deposizione dal boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, già condannato all'ergastolo.

Il capo mafia è imputato nel processo "'ndrangheta stragista" in corso di svolgimento a Reggio Calabria. Durante la sua deposizione in videoconferenza Graviano ha risposto alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo.

Affermazioni subito riprese e negate dall'avvocato Niccolò Ghedini, il legale  di Silvio Berlusconi: "Le dichiarazioni rese quest'oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie". Ghedini prosegue: "Si osservi che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti".

Graviano: "Nel dicembre 1993, mentre ero latitante, incontrai Berlusconi a Milano. Berlusconi sapeva come mi chiamavo. E sapeva che ero latitante da dieci anni. Alla riunione ha partecipato anche mio cugino Salvo e con Berlusconi c'erano persone che non conoscevo. Dovevamo discutere dell'ingresso di alcuni soci nelle società immobiliari di Berlusconi". Ma dopo l'arresto, spiega Graviano: "In quell'occasione fu programmato un nuovo incontro, per febbraio, ma io il 27 gennaio 1994 venni arrestato a Milano. un arresto anomalo...".

"Fu mio nonno ad avere i contatti con gli imprenditori milanesi. Poi, quando è morto mio padre, mi prese in disparte e mi disse 'Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu'. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì", racconta il boss. "Già nel 1992 Berlusconi annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica", ha spiegato Graviano.

Poi il boss spiega cosa non funzionò: "Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell'ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose". E' la conferma dell'intercettazione del 19 gennaio 2016 quando, conversando con il boss Umberto Adinolfi, Graviano disse: "Berlusconi prese le distanze e fece il traditore". E il boss aggiunge: "Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio io cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell'abolizione dell'ergastolo". E aggiunge: "Questo mi portò a dire che Berlusconi era un traditore".

Infine il boss lascia intendere che c'è dell'altro: "Dottore, io sto dicendo solo qualcosa, ma posso dire ancora tante altre cose ... Io non voglio né soldi né altro...". Poi riferendosi alle intercettazioni in carcere con il boss Umberto Adinolfi, ha detto: "Ho solo dato confidenza a un carissimo amico. Ma se sentissi tutte le intercettazioni potrei dire tanto altro".  

Tra le tante cose dette da Graviano ai giudici, il boss ha sostenuto che "in Italia non ci sono state stragi islamiche anche grazie a Totò Riina". E a proposito del boss Corleone, ha svelato che esisteva un piano per eliminarlo. Infatti secondo Graviano negli anni Ottanta alcuni boss mafiosi avrebbero preparato un attentato al capo dei capi: "La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l'omicidio Costa (il giudice Gaetano Costa, ndr). Quindi, il signor Riina ha deciso di mettere delle regole, insomma un po' di democrazia, perché non potevano prendere le decisioni solo Salvatore Bontade e Gaetano Badalamenti". 

Sulla nascita della Commissione di Cosa nostra, aggiunge:  "Michele Greco era un uomo di pace, non per niente lo hanno fatto diventare 'Papa' e ha messo delle regole che si dovevano togliere delle vergogne". E proprio a Michele Greco, boss di Ciaculli, chiesero di intervenire contro Riina,  ma lui disse "io sono per la pace, posso intervenire per la pace, io non posso continuare se avete queste intenzioni. A me non dovete più parlare di nessuna intenzione".