Venerdì 19 Aprile 2024

Gps negli slip, fuga da Kabul "E ora siamo alle Olimpiadi"

Zakia Khudadi e Hossain Rasouli sono riusciti a scappare (per miracolo) dai talebani. Adesso i due sportivi potranno partecipare alle gare di atletica e taekwondo a Tokyo

Migration

di Riccardo Jannello

La bandiera afghana sfilò sola alla cerimonia di apertura delle Paralimpiadi ricordando la barca dei pescatori di Salvador da Bahia travolta dalle onde che tornava a riva senza più i suoi occupanti. In quel caso, la gente di mare impressa nella mente da Jorge Amado in Mar Morto era affogata nel cercare di portare il pane alle loro famiglie. Gli atleti afghani, invece, in fuga dai talebani sono riapparsi per dare una speranza a tutti gli uomini e donne, ai disabili e ai bambini, che sono stati travolti dal ritorno al potere degli studenti coranici. Non hanno potuto sfilare con i colleghi di tutto il mondo, ma ora sono in pista.

Di Zakia Khudadadi, 22 anni, campionessa di taekwondo, e del centometrista Hossain Rasouli, 26, si erano perse le tracce quando i nuovi padroni dell’Afghanistan avevano decretato che non sarebbero partiti per Tokyo. I veri afghani – avevano sentenziato – rimangono in patria, non si mischiano al resto del mondo neppure per sport. Spariti dai radar, già pianti dagli occidentali come vittime della repressione. Ma c’era chi sotto traccia lavorava per loro, per farli arrivare all’aeroporto di Kabul e sperare di poterli infilare in un volo che lasciasse il Paese: il loro sogno a cinque cerchi doveva vivere. I due atleti hanno vissuto attimi molto concitati e pericolosi, sfidando i check point dei talebani sulla strada per l’aeroporto con l’aiuto indispensabile dei membri del ’Center for Sport and Human Rights’ di Ginevra, della Human Rights for All australiana – e l’Australia potrebbe ospitarli dopo i Giochi –, dei Comitati paralimpici francese e britannico e della Federazione internazionale taekwondo.

Per non perderli era stato attuato un piano che prevedeva il loro gps sempre attivo per monitorarli e i loro soldi e documenti avvolti in una sciarpa colorata nascosta nella biancheria intima da sventolare una volta passato l’ultimo controllo talebano per farsi riconoscere dai militari della coalizione. Tutto ha funzionato benissimo e senza mai perdere il controllo della situazione fino all’interno dello scalo dove la confusione regnava sovrana per quel che riguardava gli imbarchi sui velivoli in partenza. Zakia e Hossain, ormai sulla pista di decollo, sono finiti su un aereo che li ha portati a Dubai; solo negli Emirati Arabi il loro contatto è stato ripristinato. L’importante era che fossero salvi e in mano all’Occidente. Dal Golfo sono stati portati a Parigi in tutta segretezza, alloggiati e rifocillati per una settimana all’Istituto nazionale per lo sport, la competenza e la performance, una struttura d’élite che li ha seguiti non solo a livello fisico, ma soprattutto mentale.

Ricostruita la psiche, rimessi in sesto, i due atleti della speranza sono stati fatti salire su un volo per Tokyo e sono finalmente sbarcati nella capitale giapponese per fare il loro dovere, che pure faceva così paura ai loro nuovi-vecchi padroni. Hossain ha già gareggiato, ma non ha potuto correre i "suoi" 100 metri perché si erano già svolti; ha scelto il salto in lungo per onorare il suo impegno paralimpico e l’ultimo posto è in una scala di valori etici equiparabile alla medaglia d’oro. Zakia, doppio simbolo del Paese devastato, donna e disabile, gareggerà domani nel taekwondo: qualsiasi risultato otterrà anche per lei sarà una medaglia d’oro alla vita. E il medagliere ne dovrà tenere conto.