Gli ultimi giorni di Bin Laden. "Uccidiamo Obama, ecco il piano"

Deluso e braccato, il capo di Al Qaeda sognava l’attentato impossibile. La sua organizzazione era al tramonto

Osama Bin Laden (Foto d'archivio)

Osama Bin Laden (Foto d'archivio)

Profeta di morte? Ovviamente, ma non solo. Osama Bin Laden sfugge alla definizione schopenaueriana del genio del male, del mostro terrorista a tutto tondo. Pur nel suo fanatismo religioso aveva momenti di debolezza, di pentimento, di delusione.

Aveva soprattutto la consapevolezza di essere stato superato dalla storia. E netta la percezione della risolutezza dei suoi avversari. Del suo ’quasi omonimo’ Obama in primo luogo. Sapeva che il presidente degli Stati Uniti gli stava dando la caccia e che avrebbe vinto colui che avesse colpito per primo.

E così dieci anni fa, pochi giorni prima di essere ucciso, tenne un consiglio di guerra nel suo fortino in Pakistan, a ridosso dell’Afghanistan. Convocò due delle sue mogli, l’anziana Umm Hamza e la più giovane Siham, ascoltate consigliere, e un paio di altri fedelissimi. Presenti anche alcune figlie che prendevano appunti.

Voglio far fuori Obama, disse. Impossibile, fu la risposta corale, il presidente è iperprotetto. Piuttosto, aggiunse una delle mogli, cerchiamo di uccidere Biden. Biden? Non ne vale la pena. "È totalmente impreparato" a fare il presidente. Si sbagliava. Biden è diventato presidente, seppur sulla sua performance gli americani cominciano a ricredersi.

Lo scambio di battute emerge dai documenti pubblicati dal Wall Street Journal, anticipando un libro di Peter Bergen appena uscito negli Stati Uniti. Titolo The Rise and Fall of Osama Bin Laden. Bergen ricostruisce gli ultimi giorni dell’uomo più ricercato del mondo e si richiama a quei documenti. Li ha rilasciati la Cia nel ventennale degli attentati di New York e Washington (prossimo 11 settembre) e nel decennale del raid dei Navy Seals (2 maggio 2011).

Si tratta di lettere di Osama, di appunti suoi, delle mogli e delle figlie, 470mila file da dieci hard drives e cinque computer. Furono trovati nella notte fra l’1 e il 2 maggio 2011, quando i due elicotteri della Us Navy penetrarono in territorio pakistano, all’insaputa del governo, e diedero l’assalto al rifugio di colui che aveva lanciato contro gli Stati Uniti un attacco devastante. Un attacco più devastante e sanguinoso di Pearl Harbor che, nel lontano 7 dicembre 1941, aveva spinto Roosevelt a entrare in guerra contro le potenze dell’Asse, Giappone, Germania, Italia. Evento storico, perchè cambiò la storia del mondo. Come quello islamico di vent’anni fa.

Gli Stati Uniti persero l’invulnerabilità sul loro stesso territorio. Con una differenza rispetto a Pearl Harbor: le Hawaii erano laggiù in mezzo all’oceano Pacifico. Le Torri gemelle invece erano a New York, cuore della finanza americana, e il Pentagono era a Washington, cuore delle ambizioni egemoniche. Fu proprio quel giorno, 11 settembre 2001, che cominciò un lento declino. Un declino strategico, che si combinò con la crisi finanziaria del 2008 e con la crisi commerciale dopo l’improvvida accettazione della Cina comunista nella World Trade Organization.

Tornando ai documenti, la Cia ha impiegato molti anni a decifrarli, interpretarli, collegarli con la proliferazione del terrorismo islamico. La Al Qaeda delle origini appare obsoleta e misurata rispetto alla organizzazione e agli orrori dell’Isis. La sua Jihad scolastica, se paragonata al Califfato stabilitosi fra Siria e Iraq. Osama Bin Laden, costretto a nascondersi prima nelle caverne e poi nelle periferie pakistane, ne era consapevole. Era stato spinto nella soffitta della storia. Il radicalismo islamico l’aveva superato. Nessuno parla più di noi, confidava ai familiari. Abbiamo fatto degli errori. Forse dobbiamo cambiare nome e darci un’agenda meno operativa e più politica.

Anzichè massacrare gli infedeli i musulmani si massacrano fra di loro in Iraq, Siria, Yemen. E quando protestano nelle strade in Egitto, Libia, Tunisia non agitano le nostre bandiere. Chiedono quei diritti che sono inconciliabili con la nostra fede. Inequivocabile il rifiuto delle primavere arabe. In Occidente invece per qualche mese diedero l’illusione di un trapianto di democrazia nel mondo arabo. Insomma dalle rivelazioni emerge il ritratto di un uomo deluso, dimenticato, angosciato dalla caccia di Obama, contrariato e quasi pentito per le conseguenze della reazione americana e degli alleati. Il Medio Oriente in macerie. La guerra in Afghanistan interminabile. La Libia smembrata, la Siria distrutta, l’Iraq controllato dall’Iran che aveva imprigionato una delle sue mogli. Non era questo l’epilogo inseguito dalla sua "guerra santa". ([email protected])