Gli italiani non tolgono la mascherina. "Troppa paura, è istinto di difesa"

La ricerca: 8 su 10 la terranno anche all’aperto. Il filosofo Demetrio: "Un antidoto, il trauma Covid ci ha segnati"

Gli italiani non si tolgono la mascherina

Gli italiani non si tolgono la mascherina

Non abbandoneranno la mascherina durante l’estate più di otto italiani su dieci (82%) che dichiarano di volerla tenere con se spesso o sempre per garantirsi una protezione contro i rischi di una ripresa dei contagi, soprattutto nelle zone affollate. È quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè dalla quale si evidenzia che un 15% della popolazione pensa di usarla qualche volta o raramente mentre un irriducibile 3% dice mai. La presenza di un numero elevato di persone non vaccinate e le notizie sulla contagiosità della variante Delta ma anche l’abitudine e il senso di protezione spingono la maggioranza degli italiani ad agire con cautela durante l’estate. La conferma viene dal fatto che oltre sei italiani su dieci (63%) sono disposti a spostare le ferie pur di farsi iniettare la prima o la seconda dose di vaccino, con la paura per il Covid che è più forte della voglia di relax. La tutela della salute resta la priorità degli italiani con solo il 23% di italiani che preferisce rimandare il vaccino pur di godersi le ferie, mentre il restante 8% è indeciso. La scelta di vaccinarsi prima di andare in vacanza è spinta anche dalla possibilità di accedere al Green pass che consente di godere di offerte e servizi altrimenti preclusi. Resta il fatto che l’emergenza Covid ha condizionato quest’anno la scelta del luogo di quasi un italiano su due (49%) che va in vacanza, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat. Non a caso ben il 33% dei vacanzieri resterà all’interno della propria regione, e solo il 6% prevede di andare all’estero. Il resto si recherà in una regione diversa da quella di residenza.

Roma, 29 giugno 2021 - "Faccio parte dell’82 per cento degli italiani che ha continuato a indossare la mascherina all’aperto. Ne ho visti molti stamattina a Milano, primo giorno senza obbligo". Un filosofo sa sempre tutto. Se si tratta poi di Duccio Demetrio, 76 anni, per di più storico docente universitario, pedagogista e accademico, c’è da stare tranquilli. Parte da sé e trova spiegazioni universali. Giusto quel che serve per capire che cosa sta succedendo.

Vince il principio di precauzione?

"Certamente sì. La presenza di non vaccinati in giro e la contagiosità delle varianti fa prendere con le pinze i luoghi affollati. La mascherina è un salvagente. Ma c’è dell’altro".

Che cosa?

"La diffidenza. Virologi e immunologi in questi mesi hanno spesso parlato linguaggi antitetici. Nel dubbio, a quale scienza credere? Nel dubbio seguo la mia testa, è stata la risposta".

Si è consolidata un’abitudine?

"Arrivo alla porta di casa, prendo la mascherina attaccata alla maniglia, esco. Un riflesso automatico come allacciare la cintura di sicurezza in macchina".

Ha fatto così oggi?

"Sono uscito presto per portare giù il cane. Ho optato per la via di mezzo: mascherina sì, ma appena sotto il naso. Fa caldo. Arrivato a destinazione ho visto gli altri padroni di cani: ortodossi e ligi alla regola. Neppure uno con il pezzo di stoffa di scorta in tasca o penzoloni da un orecchio. Mi sono uniformato all’istante e la cosa mi ha fatto riflettere".

Conclusioni tratte?

"La mascherina è una metafora interiore: protegge da ogni male e come tale è difficile abbandonarla. Durante le fasi peggiori dell’epidemia sono riemersi fantasmi antichi. E di conseguenza feticci per antidoto".

È sempre stato così nella storia?

"Il Medico della Peste era la maschera più temuta a Venezia nel 1600. La usavano dottori e chirurghi per proteggersi dal morbo, quando andavano a visitare i malati: becco adunco lunghissimo con due tagli per l’aria, l’ovale a serrare il viso e fori all’altezza degli occhi, tela cerata dalla testa ai piedi".

Maschere inquietanti?

"Penso all’orgia di Eyes wide shut. Kubrick evoca la funzione psichica della persona, nel senso latino di maschera. La mascherina è prosopopèa: l’oggetto inanimato che si trasforma in persona".

Una persona amica stavolta.

"Alla riapertura delle scuole i ragazzi, che erano i più riottosi ad accettarla, hanno ribaltato le convenzioni: oggi la sostengono in nome della libertà, fatte salve le eccezioni. Una minoranza continua a sfidare il contagio a sprezzo del rischio. In fondo è un classico dell’adolescenza".

Eppure undici mesi fa più di un italiano su quattro rifiutava le mascherine. Che cosa è accaduto nel frattempo?

"Le immagini del dolore non si cancellano. La nostra Libera università dell’autobiografia ad Anghiari ha sollecitato a scrivere di sé ai tempi del Covid. Abbiamo ricevuto 1.500 risposte: una meta narrazione da cui è emersa la necessità di curare la vita, il bene supremo. Una reazione evidente allo sgomento, l’incredulità e la frustrazione incamerate. L’istinto di autodifesa si è tradotto in una parola d’ordine: non vogliamo che accada di nuovo".

L’autodifesa frena il disvelamento?

"Specie le donne hanno pudore a scoprire il volto, dopo aver mostrato soltanto gli occhi per così tanto tempo. La paura può aver offuscato la bellezza. Sotto la maschera restano i segni, le cicatrici. È lecito avere paura".

Passerà anche questo ritegno?

"Passerà. L’inizio della pandemia ha portato a una reazione epico-eroica, resistente, patriottica. Poi è subentrata la fase di monotonia quotidiana. Adesso viviamo una libertà condizionata e consapevole. Ci vuole tempo per uscirne".

Quanto tempo?

"Non lo so. Può essere che già venerdì le mascherine volino via come tappi di champagne se l’Italia vincerà contro il Belgio. Oppure che fra quattro mesi saremo ancora tutti qui con le mascherine addosso. In quel caso prenderei un appuntamento dallo psicologo".