Sabato 20 Aprile 2024

Gli hacker ci spiano anche in casa. Filmati di sesso venduti sui social

I cybercriminali rubavano le password delle telecamere. Video hot anche da palestre, piscine e studi medici

Sharon Stone nel film 'Sliver' del 1993

Sharon Stone nel film 'Sliver' del 1993

Entravano nelle vite degli altri. In camera da letto. Nelle stanze dei loro figli. In bagno. Usavano il modo più subdolo, facendo leva proprio su quelle telecamere che i proprietari di casa avevano fatto installare (o più di frequente si erano installati da soli) per proteggersi dagli intrusi. Dopo aver bucato sistemi non proprio sofisticati (magari acquistati a prezzi di saldo) e password altrettanto semplici da indovinare (spesso le stesse fornite alla consegna e mai aggiornate), gli hacker si impossessavano di quei filmati intimi a totale insaputa delle persone riprese e li sfruttavano per guadagnarci sopra, dopo scrupolosa cernita dei frame che immortalavano scene di sesso o di autoerotismo. Lo stesso avveniva per gli occhi elettronici a guardia di palestre e piscine, centri commerciali e studi medici. Poi i fotogrammi venivano dati in pasto ai voyeur sulle app di messaggistica istantanea ritenute meno vulnerabili (prima il Facebook russo Vk, poi Telegram): la sezione Premium, con accesso subordinato al pagamento di 20 euro, contava più di 2mila utenti; quella Vip era invece ristretta a qualche centinaio di iscritti, che per 40 euro avevano la possibilità di scegliere quando e cosa guardare.

Telecamere, smartphone e tablet. Ecco come neutralizzare chi spia

Ieri gli agenti della polizia postale di Milano, guidati dalla dirigente Tiziana Liguori e dal funzionario Rocco Nardulli, hanno smantellato due gruppi criminali che agivano in parallelo: al netto delle probabili interconnessioni ancora da approfondire, i "team", così si definivano, avevano entrambi l’obiettivo dichiarato di lucrare sulla privacy violata. L’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Letizia Mannella ed Eugenio Fusco e dai pm Bianca Baj Macario e Giovanni Tarzia, ha preso spunto nel 2019 da una segnalazione delle forze dell’ordine neozelandesi, che investigando su un giro di immagini pedopornografiche sono arrivate a un italiano poi arrestato. Dall’analisi del materiale sequestrato, sono emerse tracce dell’altro tipo di commercio clandestino, che hanno dato linfa alla nuova indagine. Poi è arrivata la denuncia del frequentatore di una piscina brianzola, che ha scoperto grazie a un amico che le immagini registrate da una telecamera sistemata nel tragitto tra l’entrata e gli spogliatoi finivano in circuiti esterni. Per i poliziotti non è stato semplice svelare le identità degli indagati, abilissimi nella cyber "anonimizzazione": nel corso delle dieci perquisizioni (l’undicesimo denunciato, un ucraino, è irreperibile), hanno scoperto, ad esempio, che lo "smanettone" di uno dei due gruppi è un diciassettenne riminese, che per un periodo avrebbe anche incassato i proventi illeciti della vendita di filmati per conto degli altri tre e che ora dovrà rispondere di accesso abusivo a sistemi informatici e interferenze illecite nella vita privata.

Nell’altro team erano in sette, tra cui un grafico pubblicitario milanese di 43 anni che svolgeva il ruolo di pr, sviluppando i claim delle campagne promozionali e i video-civetta acchiappa clienti. In questo caso, tra i reati contestati c’è pure quello di associazione a delinquere, visto che gli agenti sono riusciti a ricostruire ruoli e compiti ben precisi: c’erano gli hacker, che prima scandagliavano la Rete a caccia di impianti di videosorveglianza connessi al web e poi, con veri e propri attacchi informatici, riuscivano a scovare le password dei videoregistratori digitali (Nvr) a cui normalmente vengono collegate le telecamere; c’erano coloro che si occupavano di selezionare i fotogrammi, privilegiando quelli più espliciti, e di trasferirli agli utenti via app; e infine c’erano quelli che reinvestivano gli incassi (50mila euro in bitcoin l’ammontare della cifra finora sequestrata) per acquistare software sempre più aggiornati. Un mondo che si autoalimentava e che scorreva sotterraneo nelle esistenze apparentemente normali di titolari di imprese edili, disoccupati col reddito di cittadinanza e baristi. Un mondo che loro credevano inespugnabile: "La polizia italiana mette le denunce in un cassetto", si dicevano divertiti.