Mercoledì 24 Aprile 2024

"Gli esuberi il vero nodo Ma il Monte non sta male"

Parla l’ex direttore generale Divo Gronchi: tra gli stranieri vedo i francesi "Non sarà una catastrofe. Unicredit? Non voleva rovinare i propri conti"

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Divo Gronchi ha superato quota 80 anni, è stato banchiere fino a pochi mesi fa, quando ha lasciato il consiglio d’amministrazione di Banca Ifis. È stato direttore generale al Monte dei Paschi, alla Popolare di Lodi e a quella di Vicenza, e qualche volta, dopo aver lasciato la plancia di comando, la banca è saltata in aria. Da direttore generale ha agevolato la vendita ai francesi di Credit Agricole la Cassa di Risparmio di San Miniato. Ha le carte in regola per decifrare lo stato dell’arte del risiko della finanza, dopo il fallimento delle trattative tra Unicredit e Mef per il suo ex Mps.

Perché Unicredit ha posto quelle condizioni, restringendo il perimetro di acquisizione di Mps?

"Sin dalle prime dichiarazioni, l’ad Andrea Orcel ha affermato che non avrebbe voluto peggiorare l’immagine e i conti di Unicredit con l’operazione Mps. Avendo ratios di capitale elevati, il Cet1 al 15,5%, Unicredit avrebbe voluto che il capitale del Monte venisse aumentato fino ad arrivare alle stesse percentuali. Stesso discorso sugli Npe, che sono al 4,7% nel gruppo di piazza Gae Aulenti; UniCredi voleva comprendere nel pacchetto anche gli ’stage 2’ e le cosiddette sofferenze allargate. Si tratta di altri 10-15 miliardi in ballo. Aggiungendo anche i rischi legali, esclusi sin dall’inizio, si deve solo verificare se quei 7 miliardi di aumento di capitale richiesti siano compatibili con questi criteri oppure no. Se la cifra ha una base valida, c’è poco da obiettare".

Non crede che abbia chiesto troppo per far fallire l’affare?

"Siamo a un livello di responsabilità tale da escludere ogni discorso strumentale. Si può parlare di un margine di trattativa, nell’ordine di qualche centinaio di milioni, ma sono convinto dell’onestà contrattuale dei negoziatori. Andrea Orcel è un banchiere con un’ottima reputazione non può sparare una cifra per farsi dire no".

Cosa avrebbe dovuto fare il ministero dell’Economia per impedire il fallimento dei negoziati?

"Il problema cruciale è quello degli esuberi. Unicredit voleva solo le filiali del Monte, un perimetro di 1.100 sportelli. E’ partito da 3mila e sarebbe arrivato a 7mila dipendenti da prepensionare. Indubbiamente i problemi sarebbero stati quelli della direzione generale, del Consorzio operativo e del Centro servizi. Con l’acquisizione di 1.100 sportelli, allo Stato resterebbero troppi dipendenti per quel che rimarrebbe del Monte".

Qual è lo stato dei conti di Banca Mps, da ciò che le è dato conoscere?

"Parlando con qualche dipendente, il clima che si respira è migliore rispetto al passato, come dimostrano i dati al 30 giugno. Spero che ci sarà un netto miglioramento dei conti nel terzo trimestre. La ripresa ha dato un’inezione di vivacità all’economia. Restano settori in crisi, ma i contenziosi potranno diminuire, certo non aumentare. Senza conoscere i bilanci, però, si possono solo fare supposizioni".

Crede più alla pista straniera o all’ipotesi terzo polo BancoBpm-Mps-Mediocredito?

"Il Monte non ha una reputazione internazionale tale da attirare banche straniere di altri Continenti, asiatiche o americane. Gli unici stranieri possibili sono i francesi, che conoscono meglio la situazione italiana. Ritengo che Banco Bpm e Bper siano le uniche banche in grado di poter esaminare il dossier Mps. Banco Bpm potrebbe essere incentivata all’operazione non solo per l’aspetto finanziario, ma anche perché potrebbe evitare di finire preda. Come purtroppo insegna l’esperienza di Ubi. Bper pare più interessata alla Popolare di Sondrio. Non sono convinto che dopo Unicredit per il Monte sia la catastrofe. La situazione economica migliorata, le sofferenze ridotte, i rischi legali attenuati, i bilanci con utili, permettono una riapertura dei giochi".

Pino Di Blasio