Gli azzurri da fenomeni a brocchi L’Italia del pallone perde la testa

L’estate scorsa festeggiavamo la vittoria degli Europei, ora è caccia ai colpevoli. Un costume tutto nostrano

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di Massimo

Donelli

Nei 256 giorni che separano la gioiosa finale dell’11 luglio 2021 allo stadio Wembley di Londra (Italia-Inghilterra 4-3) e l’amaro epilogo del 24 marzo 2022 allo stadio Renzo Barbera di Palermo (Italia-Macedonia del Nord 0-1) c’è l’anima italiana. Siamo passati, infatti, con vigliacca disinvoltura, da "Abbiamo vinto gli Europei! Grandissimi!" a "Hanno perso i Mondiali! Buffoni!".

Perché nell’arte di appropriarsi del successo e scaricare la sconfitta nessuno ci batte. Ma la ferita brucia. Accidenti se brucia. Così, dalla sera di giovedì non si parla d’altro che della disfatta azzurra. Con tanti saluti all’insostenibile caro carburante, al riemergente Covid 19 e perfino alla tremenda guerra in Ucraina. Al punto che ieri, sui social media, circolava impertinente questa perfidia: "Ultim’ora. Mancini non perde la speranza: ‘Se la Russia annette la Macedonia siamo ripescati’". Eccolo, il pallone che si mangia tutto. Incluso il pudore e il rispetto per chi sta difendendo la patria a costo della vita.

Ma questa è l’Italia. Da sempre. Perché, in un Paese che sfiora i 60 milioni di abitanti, più della metà della popolazione (34 milioni) dichiara l’amore per il calcio. E in amore si perde la testa. Ripetutamente. Specie quando le cose vanno male. Capitò, una prima volta, il 2 giugno 1962, a Santiago del Cile. La Nazionale fu sconfitta 2-0 dai padroni di casa. Finì la partita in 9 con scene da Far West. E scatenò un’infinita polemica contro l’arbitro, l’inglese Kenneth George Aston (1915-2011), inventore dei cartellini gialli e rossi. Figuraccia.

Nulla, però, in confronto a quella del 19 luglio 1966, a Middlesbrough (Regno Unito), quando un gol del nordcoreano Pak Doo-ik eliminò gli azzurri dai Mondiali d’Inghilterra. Cinque giorni dopo, sbarcata a Genova, la Nazionale fu accolta con un lancio di pomodori e uova marce. Poi ci sono i su e giù clamorosi. Campioni del mondo nel 1982, buttati fuori dagli Europei nel 1984. Campioni del mondo nel 2006, eliminati ai rigori negli Europei del 2008.

Ma niente di paragonabile alla catastrofe dei Mondiali brasiliani 2014, quando l’Italia riuscì nell’impresa di farsi battere dal Costarica (!) per essere poi eliminata dall’Uruguay: uno scivolone che portò alle dimissioni del commissario tecnico Cesare Prandelli e del presidente della Federazione italiana gioco calcio (Figc) Giancarlo Abete. Allora sembrò di aver toccato il fondo.

Non era così, purtroppo. Il peggio doveva ancora materializzarsi. E si materializzò a Milano, Stadio Giuseppe Meazza, il 17 novembre 2017, con lo spareggio per partecipare a Mosca 2018: 0-0 nel ritorno con la Svezia dopo aver perso all’andata 1-0 a Stoccolma. E niente mondiali. Fu il capolinea per Gian Piero Ventura, che, il volto di un pugile tramortito, abbandonò la panchina degli azzurri.

Perciò, fu vissuta come una resurrezione la vittoriosa cavalcata agli Europei del 2021, capace di incorniciare di gioia la prima estate post-pandemia e far registrare il tutto esaurito sul carro dei vincitori. Come dimenticare, infatti, la folla adorante che i campioni salutarono dal bus a due piani il 12 luglio, in un delirio che spazzò via, per qualche ora, la distanza minima, le mascherine e qualunque altra raccomandazione governativa? Sembra passato un secolo. E, a proposito di secoli, ora toccherà intraprendere una lunga traversata del deserto, come toccò, di ritorno a piedi dall’India, al…macedone Alessandro Magno trecento anni prima della nascita di Gesù Cristo.

Ci separano, infatti, due anni dagli Europei del 2024, in Germania; e quattro dai Mondiali del 2026, che si snoderanno fra Stati Uniti, Messico e Canada. Un’infinità di giorni prima di (forse)...

Va bene che "Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti" (Arrigo Sacchi), ma nell’attesa – e visti i tempi – non sarà meglio pensare, appunto, ad altro?