di Davide Rondoni Cosa significa per il mondo culturale "schierarsi" in casi di scontri e conflitti? La domanda è profonda e ricorrente. E non sopporta risposte semplici. È emersa in queste ore a seguito della iniziativa de La Scala e di altre istituzioni nel mondo: l’esclusione dal podio di un noto direttore di orchestra, Valery Gergiev, russo e estimatore di Putin, se non procede a una abiura, peraltro chiesta da politici, i sindaci, come Sala. La questione è spinosa e va affrontata in modo non ideologico. La storia è piena di artisti che hanno pagato per le loro idee, a volte deprecabili o più accettabili, a volte sacrosante. Una risposta alla domanda dipende anche dai presupposti. Se da un lato la cultura e l’arte non vivono fuori dal mondo e dalle dinamiche della politica e del potere, e quindi anche dai cambi di lettura storica che i cambi di potere determinano, dall’altra parte occorre intendere "come" vivono nel mondo. Replicando allo stesso modo i conflitti? Motivo per cui un palestinese non dovrebbe esser artista in Israele, o stando a un recente conflitto europeo, un croato in Serbia o viceversa? O un tedesco non doveva essere artista negli Stati Uniti al tempo della Seconda guerra mondiale? Rappresentanti de La Scala rispondono che in presenza di un attacco all’Europa (anche se l’Ucraina non è formalmente nella Ue) il teatro più rappresentativo d’Europa deve prendere una posizione netta. Certo, ma come? L’ultimatum del sindaco Sala al direttore d’orchestra ha provocato reazioni in altri artisti russi. I quali si chiedono se La Scala procederà a pretendere di sapere anche dai musicisti (non solo al direttore) e ai ballerini russi che cosa pensano, forse con non pochi problemi per gli stessi a schierarsi contro il proprio Paese. Il punto dunque, ripeto, è il "come" la cultura (che, ...
© Riproduzione riservata