Giovedì 18 Aprile 2024

"Giustizia penale come spettacolo Le indagini in tv diventano gossip"

L’atto d’accusa di Vittorio Manes, avvocato e docente universitario: "I talk show non fanno cronaca". Il rischio dei programmi d’intrattenimento che violano i diritti degli indagati e la presunzione d’innocenza

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di Gilberto Dondi

BOLOGNA

Vittorio Manes, lei sostiene che i media hanno trasformato la giustizia in show e che, per fare audience, si dà vita a un processo parallelo che non rispetta le garanzie dell’imputato. Ma è davvero così?

"La giustizia penale è diventata spettacolo in molti contesti, e non è certo un fenomeno solo italiano – spiega Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale all’Alma Mater di Bologna e avvocato in processo importanti (Bibbiano, Bruno Contrada, Francesco Bellomo e dj Fabo), nonché autore del libro Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, edizioni il Mulino –. Certo in Italia questo fenomeno da eccezione sta diventando regola, perché le notizie di indagini e arresti occupano i titoli di testa dei principali palinsesti, sono diffuse con titoli a caratteri cubitali, e soprattutto sono al centro di talk show e programmi destinati al grande pubblico. Non è solo cronaca, ma autentico intrattenimento, e spesso scade nel gossip e voyeurismo giudiziario, che attrae e distrae il pubblico. Ma questa spettacolarizzazione violenta i diritti degli indagati, primo fra tutti la presunzione di innocenza".

La cronaca giudiziaria ha una funzione importante. È inevitabile, durante le indagini preliminari, riportare la posizione dell’accusa...

"Sull’importanza del diritto di cronaca e sul ruolo dei giornalisti siamo tutti d’accordo, e la cronaca giudiziaria non fa eccezione. Ma questo ruolo non può essere enfatizzato sino a calpestare i diritti fondamentali delle persone coinvolte, che troppo spesso vengono presentate come presunti colpevoli, quando la loro responsabilità è ancora tutta da accertare. Il bilanciamento è possibile: abbandonare toni colpevolisti sino a quando non interviene una sentenza di condanna definitiva, ed evitare di camuffare come cronaca giudiziaria gravissime lesioni della vita privata e familiare".

Lei sostiene che il processo mediatico deforma e distorce la realtà. In che modo?

"L’attenzione mediatica distorce subdolamente ma profondamente il processo reale, perché

questo, una volta entrato nell’arena mediatica, ne viene autenticamente deformato, si carica di pregiudizi, di toni moralistici, e si contamina con le valutazioni sommarie, emotive e disinformate della pubblica opinione, che in genere ricalcano pedissequamente le tesi accusatorie, senza lasciare spazio al contraddittorio e al punto di vista della difesa. Gli effetti perversi sono davvero tanti, e il compito dell’avvocato diventa davvero arduo".

Diventa anche difficile per i giudici, secondo lei, andare contro l’opinione pubblica. Ma è proprio così? Nel caso delle “spese pazze“ dei consiglieri dell’Emilia-Romagna, molti imputati sono stati assolti nonostante spirasse un forte vento di anti-politica.

"Francamente, credo sia difficile negare che il giudice possa subire influenze significative da una determinata narrazione mediatica, anche se è difficile misurarne la portata in concreto. Di fatto, il rischio è che il giudice si senta chiamato a dire da che parte sta: se dalla parte dell’opinione pubblica, o dalla parte di imputati che la vox populi considera presunti colpevoli. E assolvere in questo clima diventa molto difficile. Sulle cosiddette

“spese pazze“, dopo una massiva campagna mediatica e decine di politici messi alla berlina, in molti casi si è arrivati a una assoluzione piena: ma sono serviti diversi gradi di giudizio, e in ogni caso le carriere politiche e le vite personale dei soggetti coinvolti erano già distrutte".

Non bisognerebbe fare una netta distinzione fra i giornali, le arene dei talk show e il far west del web e dei social?

"Certo: c’è una differenza significativa tra cronaca giudiziaria e processi-spettacolo nei talk-show, anche se questa differenza oggi tende a sfumare nell’universo comunicazionale informale dei social media e nell’infosfera, dove ci sono ancora meno regole e controlli".

Domanda provocatoria. Non trova che nel sistema italiano, dove le prescrizioni sono continue, la condanna mediatica sia stata in alcuni casi l’unica “sanzione“ per i colpevoli?

"È il problema principale: la condanna mediatica finisce per anticipare la pena e surrogare la sentenza definitiva. Anche quando la condanna non arriverà mai perché l’imputato viene assolto. Ma la sua vita, intanto, è già diventata una “vita di scarto“".