Martedì 16 Aprile 2024

Giustizia malata. E la riforma è troppo soft

Le mosse del governo

Dopo gli scandali Palamara e Amara tutti gli italiani senza l’anello al naso hanno finalmente capito che il pessimo funzionamento del sistema giustizia è una delle emergenze più gravi del Paese. Trent’anni di contrapposizione politica ci avevano fatto credere che il male della giustizia fosse solo il suo uso strumentale a fini politici. Adesso abbiamo compreso che il problema è, se possibile, più grave, e riguarda oltre che l’uso politico dei processi anche la sostanziale a-responsabilità di una casta, quella dei magistrati, che sfugge a qualsiasi tipo di regola degna di uno stato democratico.

In questo contesto l’occasione offerta dalla riforma della giustizia che ci chiede l’Unione europea era un’occasione ghiotta per smuovere le acque di un sistema impantanato. Le prime anticipazioni dell’articolato che la ministro Marta Cartabia presenterà deludono però almeno in parte le attese. I guai maggiori emersi erano, tra i tanti, lo strapotere delle correnti in seno al Cms, l’eccessivo peso riservato all’accusa, la pericolosa contiguità tra magistrati e politici. La riforma Cartabia pare prospettare solo soluzioni interlocutorie. Niente sorteggio per il Csm, nessuna separazione delle carriere (si è visto al Mottarone che cosa abbia voluto dire un Gip che non si è solo accodato alla procura), nessuno stop alle porte girevoli tra politica e toga. Piccoli cambiamenti, ma niente di epocale. Niente di quello che tutti, tutti, sanno esserci davvero bisogno.

Era lecito aspettarsi di più? Sotto un certo punto di vista, no: nel parlamento che dovrà votare la riforme sono ancora troppe le divisioni, il ministro proponente sente odore di Quirinale e tutto farà meno che ingaggiare duelli rusticani con questa o quella forza politica. Sotto un altro aspetto, si poteva però osare di più: non solo gli ultimi scandali hanno fatto capire che il segno è stato passato, ma nelle stesse forze politiche si respira un’aria diversa rispetto a qualche tempo fa.

La conversione di Di Maio, sincera o no poco importa visto che in politica niente è sincero, le prese di posizione di influenti maitre a penser democratici (Bettini ha firmato il referendum sulla separazione delle carriere), i referendum presentati da Radicali e Lega che stanno già riscuotendo un interesse trasversale. Segnali che il clima da giacobinismo manettaro, grande levatore del populismo di adesso (quello di destra, basta ricordare il cappio leghista a Montecitorio, e quello di sinistra impersonificato dai grillini), sta mostrando il fianco. E forse anche stavolta la politica arriva tardi rispetto al Paese reale.