Mercoledì 24 Aprile 2024

Giustizia, le toghe fanno quadrato "Non siamo noi a frenare le riforme"

L’Associazione nazionale magistrati si difende dopo le parole di Mattarella: la colpa è della politica. Nel mirino soprattutto la svolta sul Csm. Presto l’esame dei 400 emendamenti alla legge di Bonafede

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di Giovanni Rossi

Poi non date la colpa a noi – non è scritto così, ma questo è il senso – dove noi sta per l’Associazione nazionale magistrati. L’Anm è preoccupata che i ritardi nella riforma del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno della magistratura, comportino il mantenimento dell’attuale situazione a parole sgradita a tutti: categoria, politica, opinione pubblica. A luglio scade il Consiglio in carica, dunque c’è pochissimo tempo per evitare che si vada al rinnovo con le vecchie regole. Quelle stesse regole che esaltano e premiano i giochi correntizi: una dinamica che – sempre a parole – tutti fremono dalla voglia di modificare per restituire al Csm indipendenza e qualità d’azione dopo anni tormentati.

"L’allarme" del segretario dell’Anm Giuseppe Santalucia suona forte e chiaro. Perché c’è la "forte e fondata" preoccupazione che la riforma non sia varata in tempo utile. E il momento della svolta coincide con quello della responsabilità. "A dispetto di qualche malevola voce, nessuno dentro l’Anm ha brigato e briga per il mantenimento dello status quo", puntualizza Santalucia. Anzi, evidenzia, "tutti abbiamo coscienza che il quadro normativo debba mutare" per non affidare la nuova composizione del Csm "ai medesimi meccanismi elettorali che hanno segnato periodi non felici". Ma è "la politica" che deve agire. La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario è infatti il terzo punto del pacchetto di riforme, dopo quelle del processo penale e civile, propedeutiche al Pnrr. Per processo penale e civile la cornice è stata approvata, "le commissioni sono al lavoro" e "di questo passo, i lavori termineranno con largo anticipo rispetto alla scadenza di fine anno", assicura il sottosegretario Francesco Paolo Sisto.

Il nodo Csm, alla luce della cogente tempistica di rinnovo dell’organismo, alimenta maggiori dubbi. Sono due gli interventi di riforma più attesi, quello sulle cosiddette porte-girevoli tra politica e magistratura e il nuovo sistema di voto per l’elezione dei 16 componenti togati che limiti il peso delle correnti nell’organo che amministra le carriere dei giudici. Nella situazione creatasi, con innegabili attese di trasparenza, "è indubbio che la palla ce l’abbia il Parlamento", rincara la dose David Ermini, vicepresidente del Csm.

Giovedì scorso, prima della nuova sollecitazione del Capo dello Stato durante il discorso di insediamento davanti alle Camere, il premier Mario Draghi e la Guardasigilli Marta Cartabia hanno riaperto il dossier. Ora è probabile che dopo gli incontri già svolti con partiti, Anm e avvocati ci siano colloqui con i partiti anche a Palazzo Chigi. Mario Perantoni (M5S) nella vita avvocato e alla Camera presidente della Commissione Giustizia, cancella ogni suggestione dilatoria e chiarisce che il 16 febbraio la Commissione avvierà l’esame dei 400 emendamenti al testo dell’ex ministro Alfonso Bonafede: "La riforma dovrà essere conclusa per tempo affinché il prossimo rinnovo si svolga secondo nuove regole", è la dichiarazione impegnativa.

Perché sul meccanismo elettivo dei togati del Csm le opinioni in campo sono e restano molto distanti. Il sistema maggioritario sostenuto dalla Guardasigilli non piace ad alcuni partiti e alla maggioranza dei magistrati. In una consultazione interna dell’Anm, per la verità non troppo partecipata, l’ipotesi Cartabia è stata platealmente bocciata con 3.189 no contro 745 sì. La categoria preferisce il proporzionale. Rispetto al maggioritario della Guardasigilli, ha infatti ottenuto un risultato migliore persino la tanto dibattuta elezione per sorteggio: 1.787 i voti a favore a fronte di 2.470 contrari. Un numero di consensi superiore a ogni attesa. Non solo. Secondo la lettura del segretario dell’Anm Salvatore Casciaro, "il dato dà corpo alla delusione e al disincanto di larga parte dei colleghi", stanchi di un Csm troppo ’orientato’ politicamente, con vistoso pregiudizio per l’immagine della categoria.