Giustizia, il governo apre ai 5 Stelle La mossa non piace a renziani e Pd

Draghi e Cartabia verso il no allo stop della prescrizione per i reati di mafia. Maggioranza divisa

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di Antonella Coppari

Una modifica tira l’altra. Più i 5 Stelle insistono per tirare dalla loro parte la riforma del processo penale con emendamenti ad hoc battendo una corsia preferenziale con Palazzo Chigi, più gli altri partner di maggioranza insistono per avere le loro. Draghi e Cartabia danno l’okay all’accordo per eliminare il termine di prescrizione per reati di mafia e terrorismo – per cui peraltro il nostro ordinamento giudiziario prevede già regole specifiche – come chiesto da Conte? Forza Italia rilancia proponendo di allargare il perimetro del provvedimento – con l’appoggio di Lega e Fd’I – all’abuso di ufficio. Dopo che il presidente M5s della commissione Giustizia, Mario Perantoni, ha dichiarato inammissibili gli emendamenti forzisti sul tema, il centrodestra si è appellato al presidente della Camera Fico: in attesa della decisione, i lavori dell’organismo si sono interrotti. Se anche la terza carica dello Stato dovesse respingere le proposte di modifica perché non riguardano la procedura penale ("Ho chiesto informazioni a Perantoni,poi deciderò. Sono sicuro che sulla riforma si troverà un punto di caduta"), FI chiede che l’ampliamento del testo sia messo ai voti in commissione, con tutti i rischi che ciò comporta, incluso l’allungamento dei tempi per il varo della riforma.

La logica della mossa è chiara: non siamo i figli dell’oca bianca, il senso del ragionamento del capo delegazione azzurro, Pierantonio Zanettin. "Da giorni i Cinquestelle ricattano il governo, si parla di telefonate tra Draghi e Conte. È anche per una questione di dignità del partito che poniamo sul tavolo la nostra richiesta". I renziani fremono, ma l’idea di una trattativa ad hoc tra governo e M5s non va giù nemmeno al Pd: "Se Palazzo Chigi ci presenterà una proposta la valuteremo", tagliano corto il capogruppo in commissione, Alfredo Bazoli, e il relatore Franco Vazio. Fatto sta che la ministra Cartabia ieri pomeriggio è tornata da Draghi: entrambi sono ben consapevoli del rischio di infilarsi in un ginepraio di modifiche, senza riuscire a venirne fuori. L’imperativo del premier è categorico: "Bisogna approvare subito la riforma, non si può rinviare a settembre".

La necessità di equilibrare le due anime della maggioranza non è l’unico ostacolo: non è certo, infatti, che l’eliminazione del rischio d’improcedibilità per reati di mafia e terrorismo basti ad accontentare Conte e M5s. È il vero non detto della trattativa certamente in corso, anche se Palazzo Chigi smentisce e non potrebbe fare diversamente per non provocare le ire funeste del’altra ala della maggioranza. La spazza-corrotti equiparava i reati contro la Pa a quelli di mafia: possibile che per i 5 Stelle parlare di mafia e di corruzione sia la stessa cosa – illuminanti in tal senso gli incontri che tra oggi e domani Conte avrà coi deputati M5s –, ma su questo punto né la destra né il Pd sono disposti ad arretrare perché significherebbe rimangiarsi quasi per intero l’improcedibilità.

Il tempo è scarso, le difficoltà tutt’altro che risolte anche se qualche passetto avanti sembra essere stato fatto. In ogni caso la partita dovrebbe chiudersi prima che il Csm abbia espresso il suo parere: in seguito alla richiesta del capo dello Stato di giudicare l’intero provvedimento, il plenum è stato convocato per il 5 agosto, benché il vicepresidente Ermini stia cercando di anticipare. Venerdì 30 la riforma sarà in aula a Montecitorio. La prossima settimana o l’accordo sarà stato raggiunto o Draghi metterà la fiducia su un testo comunque deciso dal governo, anche se non è detto sia quello sin qui approvato.