Giuseppi e l’imbarazzo per l’amico americano Polemica per i legami pericolosi Trump-5S

I renziani attaccano: la moderazione del premier nel commentare gli scontri nasconderebbe un patto segreto con il presidente Usa. Il nodo resta sempre il controllo dei servizi segreti. Irritazione anche di Orlando e del Pd. Va in soccorso solo il ministro Di Maio

di Elena G. Polidori

La timidezza con cui, a caldo, il premier Giuseppe Conte ha commentato i fatti americani ha irritato gli alleati del Pd. A partire dal vicesegretario dem, Andrea Orlando, che nella mattinata ha tirato subito una frecciata velenosa: "Non ci si può dividere sul golpe negli Stati Uniti – ha commentato, in riferimento alla crisi di governo ‘in progress’ – ma fossi stato in lui avrei detto di più". Conte si è infatti limitato ad un tweet abbastanza neutro ("La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche"), ben diverso dal tenore dei commenti di altri capi di stato europei. Certo, poco dopo le prime alzate di scudi del Pd e di Iv ("Conte troppo tiepido – ha sottolineato la Bellanova – Trump va condannato") la Farnesina ha aggiustato un po’ il tiro, ma i silenzi sul "quasi golpe" di Trump dei 5 stelle non sono rimasti inosservati. Ad affondare la lama è arrivato poi Matteo Renzi. Che ha chiesto ancora a Conte di lasciare "in modo ancora più urgente" la delega ai servizi. Ma - soprattutto - di fare "chiarezza" su quanto accaduto nell’estate 2019, con la visita di William Barr, attorney general di Trump, in Italia.

Qual è il peso politico della richiesta del leader Iv nell’attuale quadro di crisi? Barr fece ben due viaggi in Italia, aggirando i protocolli, su pressione di Trump, per avere notizie sul coinvolgimento di Roma nell’affaire Misfud (Joseph Mifsud, uno degli uomini chiave del Russiagate, professore maltese alla Link University, think-tank grillino dove ha lavorato più di un ministro 5 stelle). I renziani sono convinti che il premier abbia messo a disposizione di Trump i servizi italiani sull’indagine e per questo lo stesso Renzi chiese già allora al premier di "lasciare la delega ai servizi". Conte non solo non lo ha mai fatto ma la sua consuetudine con Trump è proseguita, dagli esordi con quell’ormai famoso tweet con cui Trump ne elogiò il lavoro storpiandogli il nome ("Good job, Giuseppi") o da come, prima di tutto questo, Beppe Grillo salutò la vittoria del tycoon Usa nel 2016; "La deflagrazione di un’epoca, un Vaffa... generale, un VDay pazzesco", commentò estasiato l’Elevato. Che - si ricorderà - nel 2008 era già stato ospite a Villa Taverna, ambasciata Usa a Roma, all’epoca di Bush jr presidente e di Condoleeza Rice segretario di Stato; l’ambasciatore Ronald Spogli inviò alla Rice un lungo cablo in cui Grillo veniva definito "un interlocutore credibile" e subito dopo, sempre a Villa Taverna, ci andò Luigi Di Maio, per un incontro con il repubblicano Lewis Eisenberg che voleva "ascoltare i suoi progetti sul futuro dell’Italia". Musica, oggi, per le orecchie di Renzi.