Giovanni Falcone, le frasi più celebri del magistrato antimafia

Ecco alcune delle dichiarazioni, entrate nella Storia, sulla mafia e il suo l'intreccio con lo Stato, del paladino contro Cosa Nostra ucciso nel 1992 a Capaci

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone

Roma, 23 maggio 2020 - L'emergenza Covid-19 bloccherà le cerimonie, ma non fermerà il ricordo per la strage di Capaci e l'omaggio a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta morti a Capaci nell'attentato di Cosa Nostra nel 1992. Sarà un 23 maggio anomalo quello di quest'anno, che come sempre però riporterà alla mente di tanti cittadini le celebri frasi che il magistrato - nato il 18 maggio 1939 a Palermo - ha lasciato scolpite nella sua incessante battaglia al fenomeno mafioso. Ecco qui alcune delle più importanti, che dimostrano quanto Falcone fosse uno studioso della mafia e quanto avesse capito esattamente il modo istituzionale per annientarla.

“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni".

“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine dell'uomo".

“Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia".

"Tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia".

“Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi".

“Ci si dimentica che il successo delle mafie è dovuto al loro essere dei modelli vincenti per la gente. E che lo Stato non ce la farà fin quando non sarà diventato esso stesso un modello vincente".

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere".

“L'impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall'impressione suscitata da un dato crimine o dall'effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull'opinione pubblica".

“Nei momenti di malinconia mi lascio andare a pensare al destino degli uomini d’onore: perché mai degli uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti a inventarsi un’attività criminale per sopravvivere con dignitià?”.

“Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale".

“Possiamo sempre fare qualcosa: massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto".

“La mafia è l'irganizzazione più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare rispetto alle istituzioni e alla società nel suo insieme".

“Il dialogo Stato-mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela”.

"Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e cambiare, c'è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare".

"La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette e indirette, consapevoli o no, volontarie od obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione".